Riflessioni fatte leggendo l'articolo "Heidegger va ad oriente" pubblicato su Repubblica il 27/1/98

Che collocazione dare all'arte nella nostra società?
Come comprende se stessa, quella che noi chiamiamo provvisoriamente "arte"?
E' un'immagine, quella che viene vista in un'opera d'arte?
E' il manifestarsi di un'idea?
O cos'altro?
E' uno spettacolo accessibile a chiunque o é necessario un particolare tipo di sguardo per coglierne l'essenza?
L'arte ha un ruolo decisivo per la vita stessa?
Che risposte hanno già avuto queste domande?
Per la cultura occidentale che tipo di capacità é propria dell'artista?
Che rapporto c'é, in proposito, tra oriente e occidente?

In giappone un antico termine per accostarsi all'arte era Gei-do , ossia la via dell'arte intesa non solo come metodo, ma in un profondo, intrinseco rapporto con la vita.
Lo zen ha un bisogno essenziale dell'arte. Nell'arte zen la capacità ha un duplice significato.
In primo luogo l'uomo é condotto a partire , dalla realtà, verso l'origine della realtà, in secondo luogo , una volta introdotto, ritorna alla realtà.
L'essenza autentica dell'arte consiste in questo ritorno. Questo ritorno é nient'altro che l'operare. Il porsi in opera della verità. L'origine della realtà é la vera vita originaria ed é insieme l'abbandono di ogni vincolo, l'essere libero da ogni vincolo formale.
Anche Duchamp si é liberato da ogni vincolo! Egli, pur continuando sulla via segnata dalla tradizione occidentale, ci ha dimostrato che il fine non era l'opera ma la libertà, che l'opera era una via e nient'altro.
Eppure gli esiti del suo operare sono stati devastanti! Egli ha trovato questa via e di colpo ha, con un gesto inaudito, spazzato via ogni vincolo. Con un'unica mossa ha costretto chiunque si accinga a creare immagini a fare i conti con lui.
Anche per l'uomo occidentale la cosa essenziale é che l'origine appaia?
Quali sono i criteri per valutare se un'opera d'arte scaturisce dall'origine o meno?
Il gesto di Duchamp cosa ci fa vedere?
Ci fa vedre forse l'origine?
Lo scolabottigle nel museo a cosa allude?

Se per Duchamp é l'idea l'essenza dell'opera, la porta al paradosso!
Se ha enfatizzato l'idea, é stato solo per meglio distruggerla e la rottura é stata totale!
L'opera in sé dilegua e diviene uno spazio aperto che provoca sempre nuove interpretazioni evocando, nella sua incompiutezza, il vuoto su cui poggia. Anche Duchamp é arrivato al vuoto! Siamo dunque ad un punto d'incontro tra oriente e occidente?
Per Duchamp l'idea e la sua negazione evidenziano il vuoto su cui poggia l'opera. E' l'assentarsi dell'idea e la rappresentazione burlesca di questa assenza. L'opera é metafora del vuoto, una libera danza sul ciglio dell'abisso!
Ma il vuoto si può pensare anche come ciò che dà spazio, ciò che libera da ogni legame, ogni obbiettività, come in oriente. E' il libero operare della vita.
Spesso in occidente l'origine é un ente, un eidetico. Per la cultura zen l'origine é l'informe. La negazione, il non-ente, questo "non", non é una vera negazione. Questo Niente é privo di qualunque forma per cui essendo totalmente informe può muoversi del tutto libero, sempre e dovunque.
In questa libertà consiste il movimento da cui prende corpo l'opera.
Mi domando: allora l'origine é la libertà totale, l'informe origine da cui ogni forma deriva o é il luogo dove l'idea collassa? O entrambe? L'arrivo all'origine come avviene? Per spoliazione, azzeramento progressivo, oppure per costruzione?
Per abbandono o con il massimo controllo coscienza?
Se l'arte sta in questo zampillare dell'origine, in questo venir fuori dell'origine stessa l'artista deve saper trovare il modo di fare apparire la verità.
All'artista si chiede dunque di realizzare questo "improbabile"?
Fondamentale però per l'arte zen é il ritorno alla realtà, e la realtà é forma, é il prendere forma del movimento libero che a partire dall'originaria assenza di forma si compone, dissolve e ricompone costantemente in quella mobile e inafferrabile serie di eventi che costituiscono il divenire.
Strutture sospese e cangianti in cui si manifesta il gioco di forze che l'origine stessa da sé sprigiona. Forme in movimento fluttuanti in uno spazio-niente che le sostiene.
Se la via é un ritorno questo non può che avvenire attraverso un prender forma.
La bellezza deve essere dunque pensata sempre insieme con la libertà del sé originario?
L'opera d'arte non rappresenta più dei simboli ma il movimento stesso che rende manifesto ciò che é dietro le cose stesse. La meta non é un qualche cosa che abbia un significato ma il raccogliere spazio che da spazio.
L'arte concettuale, con un'operazione inversa, non conduce verso l'origine ma testimonia semmai l'impossibilità spesso tragica di accedervi.
Ma cosa rimane là dove il simbolico é superato e ogni significato si dissolve?
Non si tratta più di andare oltre la forma, scomponendo le immagini che la realtà ci offre come é stato fatto dalle avanguardie artistiche del 900, ora si tratta di trarla fuori dall'informe originario. Il ritorno alla realtà conserverà memoria dell'origine da cui deriva.
Ma esistono criteri per giudicare se un'opera venga dall'origine o meno?
Forse ciò può essere ravvisato solo dall'origine stessa. Là dove la rappresentazione del reale si frantuma dapprima, innanzi alla sua inconsistenza, per ricomporsi poi a partire dallo spazio aperto in nuove figure cangianti.
Se non si possiede un certo tipo di sguardo capace di segnalare la sua provenienza, l'astrazione dalla realtà "di ritorno" potrebbe essere scambiata con quella "di andata".
Si potrebbe continuare a vedere il passato anche là dove comincia a manifestarsi il futuro.

Sandra Caroldi
Torna all'indice degli Scritti