Lino Lista


POETI   M N R

L'Anemone

Il dì che Gesùcristo
spirò sopra la croce
ancora corre voce
che un fiorellin s'è visto
spuntare tristo tristo,
nel tempo ancor precoce,
per piangere l'atroce
martirio del buon Cristo.
Ora perchè Natura
onora la memoria
più dell'umana storia
l'evento ancora dura:
sempre nel freddo il fiore
nasce per il Signore.


PER FELICE PAGNANI

E s'è spezzato il filo
dell'esistenza d'un Poeta vero,
d'un mecenate che donava asilo
in rete ai naviganti del pensiero.

Che giorno scuro e brutto!
Ch'Eràto soffra, piangano le Muse,
che in Elicona vestano di lutto,
che Atropo ci porga le sue scuse.

Pianga con me Urànìa,
Tèrsicore danzando rechi un cero,
Melpomene, Polìnnia e tu Tàlia
vogliate che l'elogio sia da Omero.

Callìope sia mesta.
Mnemosine mantenga il suo ricordo
lucido per la vita che ci resta,
Euterpe gli componga un dolce accordo.

Piangano come ho pianto
per lui che manco conoscevo in volto,
che s'era innamorato del mio canto
com'io del verso suo limpido e sciolto.

Piangano com'io piango
che ragionai con lui di Vita Nova,
di tenebre, di luce, d'ombra e fango,
della parola che non si rinnova.

Piangano ma che Clio
aduni attorno a sè il Tempo e l'Ore
e segni un verso dell'amico mio:
fu Poesia, Felice, che non muore.


Il Pulcino

In un castello adagiato sul lago
abitava in solitudine un mago.
Pur chi sa leggere bene le carte
ignora dove viveva in disparte,
non lo raccontano i libri e l'atlante,
narrano appena che stava distante,
i contastorie van tutti discordi
quali elefanti ch' han perso i ricordi.

Aveva mura il castello in cristallo,
per rampicante sorgeva il corallo,
la piazza d'arme cangiata era in serra
coi fior più belli che dona la terra:
eran protetti con veli e con specchi,
ancor non uno ce n'è che si secchi,
assieme crebbero con l'erba voglio,
ancor non uno ce n'è che sia spoglio.

Nelle sue stanze viveva isolato
e aveva il mago di fil ricamato
il manto coi segni dello zodiaco,
non dava oroscopo men che idilliaco
e non soffriva di crisi di noia,
in ogni auspicio annunciava la gioia;
dei suoi presagi soltanto rimane
qualche bel sogno sognato di mane.

Parlava il mago il linguaggio dei grilli
e distillava elisir dai mirtilli,
filosofava di notte coi gufi
dei gran segreti dei can da tartufi,
dai tassi apprese a scavare le zolle
dove il terreno è più fertile e molle;
ora c'è il buco più tondo e profondo
nel suo giardino ai confini del mondo.

I menestrelli da sempre han cantato
che non aveva il castello fossato
né fil spinato, né grandi cancelli,
che tanto aperti non sono gli ostelli,
ch'eran dischiuse ben dodici porte
senza divieti o minacce di morte,
che il solo ostacolo stava in un drago
che si credeva il padrone del lago.

Dormiva il drago sul letto ma quando
udiva un suono emergeva sbuffando
e s'accucciava sull'acqua impettito,
fermo che quasi sembrava un granito;
appena un poco moveva la coda
nel sorvegliare da lungi la proda;
come qualcuno giungeva dappresso
si dimenava e sembrava un ossesso.

Si dimenava, sbatteva e guaiva,
poi saltellava fin sotto la riva,
non si può dir ch'eccellesse nel tatto,
s'è scritto ch'era quel drago un po' matto
giacché fugava schizzando con l'onda
ogni viandante vicino alla sponda.
Indi quel drago superbo, ben pago,
risprofondava nel letto del lago.

C'era una volta un possente veliero
che conduceva fin sotto il maniero,
dopo che un turbine l'ebbe affondato
il bel castello rimase isolato;
fu conseguenza di quella tempesta
che il drago mise di fuori la testa
e, diventato il padrone dei flutti,
prese a spruzzare gli schizzi su tutti.

I menestrelli hanno ancora cantato
che un giorno giunse al castello incantato
un bel bambino, venìa da lontano
con un pulcino elettronico in mano.
L'accolse il drago con ringhio canino,
sbuffava fumo, non era carino;
s'era destato da un lungo letargo,
soffiò furioso: "Hei, tu, gira largo!

Io sono il drago che il lago presiede,
non azzardarti ad immergervi un piede,
non avanzare ver' esso d'un metro,
non dar fastidio, sparisci, sta' dietro."
Il bimbo allora impetrò: "Grande mago,
richiama, ti prego il tronfio tuo drago;
per venir qui feci un lungo cammino,
la notte scorsa m'è morto il pulcino.

Era simpatico, dolce e piccino,
per me viveva, pur dentro un vetrino,
pei maghi è noto ch'è cosa da poco
resuscitare un amico di gioco.
Non mi volevo per niente assopire
quand' ei ancor si doveva nutrire,
credo sia stato pe'l suo pigolio
che infine sono crollato pur'io.

Non ho trovato ingegnere o docente
che m'abbia mostrato d'esser valente,
ho solo incontrato un bravo dottore
che s'è commosso provando dolore
analizzando il circuito tragico;
puoi tu riuscirci, oh buon spirito magico,
a ridar vita al giocattolo amico
col sortilegio d'un codice antico?"

Tutto il discorso sembrò vago al drago
che, ritenendo il pulcino uno svago,
scosse la testa esprimendo un parere,
noto è che i draghi hanno immenso sapere.
"I giapponesi han diffuso un'indagine
la quale esclude che viva un'immagine,
manca d'un cuore che pulsi nel retro,
nulla c'è dietro il pulcino di vetro;
non ha spessore, non alita fiato,
non c'è ragione perché sia curato."
Udendo quelle parole sì corte
il mago forte s'espresse dal forte.
"Drago ignorante, sei cinico e sciocco,
sensibile solo al suono ed al tocco.
Anche tu esisti per grande magia,
ti diede vita la mia fantasia."

Il bimbo sentì: "Su!, fammi salire,
si conta in giro che sai far guarire;
mano sul cuor, non ti faccio arrabbiare,
ti prego asciuga le stille mie amare!"
Dischiuse il mago le sue finestrelle
ch'avevan forma di cuori e di stelle,
chiamò dal cielo un alato cammello
che portò il pupo fin dentro il castello

e lo depose in un vasto soggiorno
dove un pomello si volse: "Bongiorno!"
Dal pavimento i tappeti indolenti
si sollevaro volando contenti,
s'illuminarono sette abat-jour:
"Accomodatevi monsieur, bonjour!"
Il bracciolo d'un divano fè: "Ciao",
un gatto nero sortì: "Maramao!"

Cadde da un muro e si ruppe uno specchio,
un chiodo disse: "Non reggo, son vecchio!",
"Salute e forza...", soggiunse un bonsài,
"...la vita sia lunga e senz'aver guai."
Intorno al bimbo sei scope da streghe
volarono per sessantasei leghe
finchè non giunse un odore d'assenzio
e tornò tutto al suo posto in silenzio.

Il mago entrò. Era un uomo imponente,
la chioma bionda e lo sguardo splendente,
leggero avanzava più delle brezze,
accolse il bimbo con baci e carezze.
Gli sussurrò: "Ben conosco il problema,
non hai bisogno di dirmi un poema,
quei dei pulcini son brutti mercati,
per collocarli li han spesso truccati.

Quando il tuo nacque era un vero campione,
suscitò invidia nel cor d'un ladrone,
mangiava senza provare dolore,
non conosceva la sete e il malore.
Fu con l'inganno che il ladro malvagio
rubò il disegno facendone un plagio,
montò il pulcino scegliendo una pista
tanto cattiva che mai s'era vista."
Rispose il bimbo: "Usiamo la testa,
non limitiamoci a far la protesta!
La resistenza alla fame si guasta?
Forse un transìstor diverso gli basta!
Anche cambiare la piastra, che costa?
Potremmo financo rifarla apposta!
Se tu sfruttassi la magica vista
potresti trovarmi il suo progettista!"

Il mago trasse una palla di vetro,
la illuminò con un cero da dietro,
ordinò quindi battendo le mani
che si spegnessero i lumi nei vani.
"Questa ci mostra il domani e il passato
e la morale che muove il mercato,
comprenderai perché tanti piccini
piangon la morte dei loro pulcini."

Si vide un uomo col sangue sul viso
e intorno a lui chi lo aveva deriso
per la condanna gridata con forza
contro il balocco che soffre e si smorza.
Il progettista, le palme sul volto,
venne colpito da un cinico stolto,
s'udivano intorno lazzi e schiamazzi,
erano grida e risate di pazzi.

Pei suoi giudizi fu messo alla gogna,
furono in pochi a provare vergogna,
la delusione per quella rapina
nella sua mente fu come una spina.
Sfumò la sfera e mutò la visione:
abbandonò l'inventor la nazione,
andò in un luogo che il grande non vede,
dove i mercanti non mettono piede.

Trascorse gli anni vivendo da solo,
mirando il sole, le stelle ed il volo;
si vide alfine tra il fumo un torrione
e il progettista insegnare a un airone.
Egli spiegava che nelle paludi
non si può andare coi trampoli nudi
e c'è bisogno di nitidi lidi
dove fermarsi per mettere i nidi.

Appreso aveva un diverso mestiere
con la natura novello cantiere,
filtrava l'erbe, fuggiva la caccia
e finalmente mostrava la faccia!
Quando si spense la magica boccia
colò da un occhio del bimbo una goccia:
davanti aveva lo stesso signore
che nella sfera facea l'inventore!

Lesto il bambino si terse il faccino,
senza esitare gli porse il giochino
e ansioso chiese: "Ci sono speranze?
Per i pulcini conosci sostanze
oppur dei baci che fan risvegliare?
Qual Biancaneve ritorna a giocare?"
Rispose il mago: "Per ogni creatura
ha la natura già pronta la cura

ed è nascosta in un bosco distante
nel qual si giunge in tappeto volante.
La scova solo chi ha spirito giusto,
chi riconosce ogni tipo di arbusto
e gli strofanti non pensa sian fanti,
né specie nuove di versi o elefanti,
e che discerne pervinche e oleandri
al fin di trovare la via tra i meandri.

Sparsi nel bosco gli specchi indovini
stanno a mostrare il futuro e i cammini,
quando riflettono rughe e difetti
sanno indicare percorsi perfetti,
sempre qualcuno tra loro risponde
come si scelgono i fiori e le fronde,
quali radici hanno linfe vitali,
con quali frutti si curano i mali.

E' più diffuso lo specchio bugiardo
che mostra scene gradite allo sguardo,
sempre nei pressi c'è un nido d'allodola
e c'è chi ascolta la lode che sbrodola,
vi si riflettono le civettuole,
ognun vi vede sol quello che vuole,
sazia lo specchio mendace le brame,
conduce alle vie più oscure e più grame.

Avanti ad esso una maga superba,
dove il pie' posa non cresce più l'erba,
spesso in vecchina innocente si cangia
ché trova ancor chi la mela sua mangia.
Per buona sorte talvolta il sussurro
s'ode del canto d'un principe azzurro
che nei sentieri va in cerca di moglie
addormentata su letto di foglie.

Anche si sente il gracchiar d'un ranocchio
che a ben guardarlo nel fondo dell'occhio
si riconosce dal sangue reale
ch'è un principino colpito dal male
che vive adesso saltando nei fossi
senza riuscire a salire sui dossi
dove un sol bacio di brava ragazza
può trasformarlo in un prence di razza.

Sbaglia la strada chi scorda le favole
che si narravano tra le bisavole,
quando nascevano i bimbi tra i cavoli
e i burattini col legno sui tavoli,
perché l'ingannano i lupi malvagi,
le volpi astute ed i gatti randagi
e un mangiafuoco che imbroglia i bambini,
che l'imprigiona nei suoi teatrini.

Son personaggi furbastri e insinceri,
sembrano fole ma tutti son veri,
con essi il bosco piuttosto è una selva,
che Cappuccetto stia attenta alla belva!
Io ch'ero stanco dell'avido mondo
timor non ebbi del bosco più fondo
giacchè compresi che c'eran segreti
mai rivelati, bocconi da preti.

Studiando il bosco compresi le dosi
per risanare i pulcini giocosi,
in esso appresi la prima lezione
sul modo giusto di far la pozione;
fu nella selva che giunsi al segreto
per lambiccare quel succo secreto
che col potere d'un quarzo selenico
dentro i germani discioglie l'arsenico.

Cercai nei giunchi le formule antiche,
non disdegnai di toccare le ortiche
né di mischiare il fibroso apocino
con le virtù dello spirto di vino.
Fu con pazienza, rigore e costanza
che masticai la novella sostanza
che alfin plasmata coi magici tocchi
divenne cera che sana i balocchi."

Il mago aprì la credenza a specchiera
mostrò al piccino la salubre cera
un po' celata negli ultimi piani,
ne soppesò giusto dodici grani.
Poi disse al bimbo: "Abbraccia il pulcino
stringilo forte sul tuo cuoricino,
questa pozione, che amaro ha il sapore,
per funzionare ha bisogno d'amore."

Smontato il giochino il bravo elettronico
con le sue mani col flusso cationico
spillò vapori dai condensatori,
bruciò i registri d'un conta-dolori
il qual numerava i minuti e le ore
in cui il pulcino soffriva il malore.
Ben presto avvenne che il magico tasto
trovò l'esatta cagione del guasto:

un fil saldato ossidato di rame
deviando i raggi adduceva la fame.
Il mago infuse il suo filtro fatato
negli antri celati dell'integrato,
sul collettore d'un buon transistore
ch'amplificava un rintocco da cuore.
I cristallini rimasti fecondi
lo prosciugarono in pochi secondi.

Si rianimò nel vetrino il pulcino,
pria pigolò, poi col dolce vocino
riconoscente si volse al buon mago:
"Fammi, di grazia, parlare col drago!
Dire gli devo: - Di vista sei corto!,
anche se in coma non sono mai morto,
tu ben ragioni ma manchi d'intuito,
mai s'è interrotto del tutto il circuito.

Quando la cifra del conta-dolori
raggiunse il massimo tre transistori
scissero il vetro dal resto del gioco,
non fui bruciato dal vampo di fuoco.
Sembravo morto ma invece dormivo,
sognavo un mondo diverso e giulivo,
volavo assieme a cicogne e fenici,
sognavo campi fioriti e felici.

Volavo e andavo in un luogo lontano,
una città costruita sul piano,
erano mille più mille i castelli
dipinti a tempera, olio e pastelli;
li dominava un antico maniero
ch'era d'asilo al pulcino straniero,
che con la torre giungeva tra gli astri,
poggiava giusto su cento pilastri.

Ad azzardarsi in volate d'altura
per un pulcino davvero è ben dura,
nel più bel sogno chi s'è cimentato
non ha il suo volo del tutto spiegato,
sempre si stenta o si va troppo lenti
se non s'incontra il favore dei venti,
si cade spesso e non c'è chi non abbia
cozzato contro un castello di sabbia.

Quindi anch'io caddi volando, di getto,
mi ritrovai un gran buco nel petto,
sopra un approdo, nei pressi d'un faro,
il mio atterraggio, però, non fu amaro.
Le caddi in braccio e rimasi sconvolto,
non può aggettivo descriverne il volto,
se ci ripenso ancor ora la scorgo,
era la donna più bella del borgo.
Lei mi sorrise col viso lucente,
al sol vederlo schiarisce la mente,
non si può dir ciò che prova un pulcino
un solo istante a tenerla vicino.
Nel portamento bellissimo e serio
ogni suo gesto appariva d'imperio,
nel conversare era un po' sibillina,
era la nordica fata turchina.

A dar la cura provvide lei stessa,
lei m'imbeccò la minuta compressa
presàgo annuncio del filtro fatato
che tu, gran mago, m'hai giusto donato.
Mi congedava con quest'ambasciata
da dare a chi non l'aveva incontrata:
"In queste terre un antico castello
sorgeva ed era lievissimo e bello.

Esso fu eretto da un mago architetto,
aveva il cielo stellato per tetto,
i pavimenti eran d'aria compressa
e le pareti di luce riflessa.
Vi si accedeva salendo per scale
fatte di vento con rampe a spirale;
stava ancorato col filo di spago
ad una perla posata in un lago.

Bussar bastava e una luce s'apriva,
una scaletta di vento appariva,
il benvenuto sul primo gradino
scendeva a porgerlo mago Merlino.
Al bimbo entrato narrava d'un regno
non salutare per chi n'era indegno,
dov'eran tutti dei prodi un po' pazzi,
dove vincevano i bravi ragazzi.

Appresso al mago leggero era il passo,
spiegava come strappare da un masso
la spada Exalibur senza l'aiuto
della violenza del braccio d'un bruto,
che c'è un sol modo col qual se ne viene,
desiderarla col fine del bene.
E pian pianino, salendo le scale,
si diventava nemici del male.

Ancor non era la rampa finita
che sull'eterea seconda salita
si presentava un eroe giovanotto,
Galahad , figlio di sir Lancillotto.
A differenza del padre perfetto
era il figliolo, gentile d'aspetto,
casto e leale, nemico dei vizi,
era d'esempio agli entrati novizi.

Nel far da guida contava le storie
di lunghe lotte, sconfitte e vittorie
nella ricerca di coppe invisibili
buone a sanare ferite inguaribili,
buone a mutare le lande deserte
in piantagioni da spighe coperte,
buone per bervi e scordar le amarezze,
buone a produrre tesori e ricchezze.

E pian pianino, reggendo il perlino,
Gahalad, l'ospite e il mago Merlino
giungevano assieme all'or che si pranza,
terza è la rampa, sol una ne avanza.
E' tra le quattro di norma più lunga,
se vuole il vento l'allarga e l'allunga,
se vuole il vento vi fa una rotonda
dove conforma una tavola tonda

col seggio vuoto chiamato Periglio
che Lancillotto cedette a suo figlio.
Non può sedersi chi ha poco coraggio,
chi non sopporta il dolore e l'oltraggio,
chi avrebbe tema di dir d'aver visto
sul desco il Calice Santo di Cristo.
Non può sedersi chi è senza virtù,
volendo il vento arrivava re Artù.

Merlino mago ed il bretone puro
portavano il bimbo al sire maturo
il qual spiegava che nella sua tavola
solo il discorso sincero s'intavola
ed ammoniva che chi non è mondo
d'orgoglio non siede al desco rotondo
del qual la forma pensata fu tale
perché nessuno d'un altro più vale.

Narrava quindi del magico incanto,
della materia del Calice Santo
che non è fatto di gemme preziose,
quando compare profuma di rose,
che non è d'oro, d'argento, di pietra,
quando compare risuona una cetra,
che appare spesso a chi ha il sangue reale
come un miraggio di luce irreale.

Artù spiegava che per un barone
la Coppa è spesso una pia illusione,
che per conte, un visconte o un granduca
sovente appare la Coppa caduca,
che normalmente a scudieri e a pastori
il Calice mostra i suoi mille splendori
e ch'è di solito nella disgrazia
che si rivela, la Coppa è una Grazia.

Ancor narrava che solo pensandola
udiva il semplice un suono di mandola,
non occorreva sfregarla sul bordo,
bastar poteva invocarne il ricordo
che sulla mensa appariva una luce
con la scintilla che il genio produce:
il Calice Santo è un'arca di scienza,
trabocca senno, la Coppa è Sapienza.

Se la novella era stata ben letta
l'ospite nuovo la quarta scaletta
salir poteva e ammirare le stelle
e ne scopriva di nuove e più belle
perché il castello la costellazione
mirava tra la Bilancia e il Leone.
Anche in quel lago, però, c'era un drago
che tranciò netto il filino di spago.

Così il castello non più trattenuto
dalla perlina volò, fu perduto.
Era leggero, com'è un caldo fiato,
forse nel ciel di Saturno è orbitato,
forse ha raggiunto l'Alfa d'Orione,
è certo stata una bella lezione
anche pe'l drago che vive sommerso,
perso il castello non è più riemerso."

Signor mago, devo dire al tuo drago:
- Il tuo sapere m'appar molto vago!
Vivon davvero nei cuor dei bambini
e stan morendo a milioni i pulcini,
sono i trastulli prodotti cattivi,
di fantasia e giudizio son privi,
son labirinti, non sono giocattoli,
son dedali pieni di mostriciattoli.
Sono cunicoli, sono budelli
dove ristretti dei bimbi i cervelli
ristanno senza trovare lo spazio
per svilupparsi: oh drago, è uno strazio!
Non impedire, ne abbiamo bisogno,
l'accesso ai laghi e ai castelli da sogno
dove c'è un mago che sana i giochini
e tanto in alto conduce i piccini-."


Museo Nuovo Rinascimento
http://www.artit.net