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Presentazione

Nato a Venezia nel 1945.
Dal 1964 è elemento attivissimo nella vita culturale della città affiancando alla pratica di grafico, scultore, scenografo, stilista e performer, una intensa attività di promozione culturale che ben presto valica i limiti cittadini per unirsi a un respiro internazionale.
Fondatore e attuale presidente dell'Associazione culturale Ha Ha Ha.
Vive e lavora a Venezia.
  • ... Sono le prospettive di anditi, di corridoi, di stanze, con una porta nel fondo, aperta sulla fonda oscurità di uno spazio negato all'occhio umano, e che sembra nascondere tutti gli enigmi della vita e del cosmo. Spinazzi insiste sulle scenografie metafisiche, che si potrebbero definire altrettante vie del mistero; insiste sulle simbologie magiche, e crea così un'atmosfera di attesa inquietante, d'irrealtà... ...col solo bianco e nero, ottenuto in tutte le possibili gamme del chiaroscuro, attraverso le sfumature più tenui e le ombre più dense... ...Il "racconto" è di una esemplare chiarezza di visione: sempre e assolutamente credibile fin nei minuti particolari, come se il disegnatore volesse rendersi conto di ogni elemento palese o nascosto, con quella disciplina nel fare, che lo distingue... ...Spinazzi entra così con pieno diritto nella categoria dell'arte fantastica, senza ricorrere a macabri inganni. I suoi viaggi simbolici verso il mistero e la morte sono asettici, in accordo con il progresso moderno.

    Giuseppe Marchiori, Venezia ottobre 1974


  • ... Nel tempio delle scalinate chiuse al soffitto la luce penetra con infinite ombre. Radiografie per un senso oltre i cinque comuni, che appartengono al sonno e al fascino della fantasia del mistero.
    Ecco che Spinazzi usa l'allegoria del simbolo per costringere le sue visioni sul materiale evanescente della realtà. Surrealismo tra Freud e la Kabbala, tra San Giovanni e i RosaCroce, ma fondamentalmente attrazione per il primitivo, per l'ancestrale. Per la magia, in una parola.
    Quando il mondo si muove tra le chele del granchio o tra le radici divelte qual è la conquista della solarità positivista se non l'uomo? Certamente questi è sommerso dall'angoscioso dibattersi del sogno, scomparendo sotto l'azione incontrollata degli acidi desossiribonucleici. ...Quando Spinazzi interpola l'elemento mistico con il magico, l'esito è solamente di stupore, di meraviglia. L'ingenuità poetica si muove su diversi piani, coscienza, astrazione, fantasticheria. Diventa fiaba, diventa racconto. E allora acquista in validità. Quale mirabile potenza trascrivere la fantasia. Quale chiave per aprire spiragli all'incontrollabile affermazione della paura dell'iconico. Freud andrebbe più in là, ma probabilmente sbaglierebbe. È la gentilezza e la discrezione che animano Lorenzo Spinazzi nello scioglimento della trama per gli altri.
    Il simbolismo diventa semiologia, andando con John Locke, diventa cioè uso di tecniche espressive, non cammino verso l'incomprensibile attraverso l'analisi, bensì attraverso la sintesi. Attenzione al contrario, è lì la causa del fraintendimento. Questo Lorenzo Spinazzi ha capito; la lettura dei suoi piccoli e magistrali pastelli, languidi nei toni, sfumati nei contorni, potrebbe venire falsata dalla definizione più immediata di velleità magico-psicologica. Spinazzi è un positivo che ricerca la cronaca del primitivo nell'uomo. Se lo ricerca in sé è solo perché non può o non vuole farlo negli altri.

    Sergio Dall'Omo, Venezia, 4-4-1974


  • Quelle di Lorenzo Spinazzi sono "Vie del Mistero" percorse però con sapienza e profonda consapevolezza. Certo il mistero vi appare come suggestione atmosferica ma l'insieme dell'opera dichiara un rigore ideativo, compositivo e tecnico tale da indurre riflessioni sul simbolo, sulla filosofia dell'arte e sulla teoria della forma che permangono oltre l'occasione di un incanto o di uno smarrimento.
    Siamo di fronte a un disegno eseguito con rara eleganza, a finestre capaci di allargare lo spazio di una stanza, di offrire un respiro di straniamento alla quotidianità, di fronte ai doni di un'immaginazione sovraeccitata che si esprime con raffinatissima perizia. Le litografie di Lorenzo, come ogni buona opera d'arte, manifestano queste qualità anche all'osservatore più distratto e meno edotto, ma è straordinario ciò che svelano all'amatore d'arte.
    Prendiamo a esempio la forse ancor non spenta, stolida diatriba tra i sostenitori dell'"informale" e quelli del "figurativo":
    "Il pittore deve andare oltre la rigidità delle forme, esprimersi con colori e segni liberi come libere sono le sue emozioni, lasciando al fruitore di riconoscere e delineare nell'indeterminatezza le proprie proiezioni formali" arrischiavano gli uni.
    "Solo chi ha immaginazione limpida e chiaramente la sa trasmettere a tutti, interpretandola con forme riconoscibili e naturali può chiamarsi pittore. Solo finge il pittore ciò che veder si puote, delle cose le quali veder non si possono nulla deve importarsene al pittore" sostenevano gli altri sulle note dell'Alberti.
    Nel frattempo, ed era il 1973, Spinazzi tracciava la sua matita grassa sulla pietra, scalfiva col bulino alla ricerca di una finezza di segno non altrimenti consentita da quella tecnica, e la sua arte volava alta sopra quelle "discussioni da caffè". Sulle carte soffici l'acqua evaporava forme colte nel loro manifestarsi dal caos, l'oleosimpatico trascriveva le leggi che tessono l'unità e la completezza dell'opera, la sua matrice d'energia e la sua volontà di cosmo.
    Un'interazione costante tra la preponderanza del plasma e gli argini dello spirito, non contrapposti ma intessuti, conosciuti entrambi come elementi indispensabili a un mondo compiuto e che si compie a ogni nuovo sguardo. Così tra architetture, forme e figure scorre l'irruenza, con la grazia argentina di un ruscello il cui traboccare tiene quelle in un volo sospeso, immoto e metafisico.
    Si crea, in uno spazio poliprospettico, che conferma sul campo le intuizioni ragionate di Panofsky, un territorio magico e onirico, luogo di eventi interiori e ulteriori al tempo stesso, fin quasi al paradosso di un movimento che, invece, non generi tempo affatto. Un luogo e un'esperienza cui sovrintende, algida e amorevole, la Geometria del simbolo, summa sintesi, rassicurante o inquietante secondo la coscienza di chi osserva.
    Si può dire che questo luogo della pietra e della carta ha trascritto sogni solo se li chiamiamo premonitori. Le intuizioni di trasparenza, i layers che filtrano aree dell'immagine moltiplicandone lo spessore sono oggi lavoro abituale per la migliore grafica digitale, ma la ricerca di Spinazzi la precede di vent'anni e ha forse contribuito a formarne le classi astratte. È innegabile che la sua abilità ha prodotto implementazioni e oggetti, tecniche e immagini che sono ancor oggi in grado di reggere, con vantaggio, il paragone.
    Questi lavori sono infatti gli unici, tra quelli sinora esposti nel Museo Nuovo Rinascimento, a non trarre beneficio dalla riduzione e dalla retroilluminazione del monitor; per chi, fervido assertore del digitale come me, ha avuto la fortuna di vedere le stampe originali, di poterle osservare con una lente, è doveroso ammettere che la loro riproduzione soffre enormemente della grossolanità del pixel, incapace, alle risoluzioni consentite da Internet, di rendere giustizia a quella meravigliosa cura del dettaglio che è una delle caratteristiche di Lorenzo Spinazzi.

    Non si deve però pensare questo artista come limitato o quasi prigioniero di un perfezionismo esclusivo, che tutto si realizzi nella padronanza di una tecnica grafica difficile e appagante. Lorenzo implementa la preziosità del virtuosismo su un autentico genio eclettico e vi affianca il sincero impegno culturale.
    Le sue manifestazioni, sin dall'inizio (1964), hanno spaziato oltre le frontiere delle tecniche antiche per abbracciare la multimedialità, ben prima che questa diventasse luogo comune con la diffusione dei personal computer. Già le sue prime esposizioni qualificavano le gallerie con lo stimolo della provocazione intelligente, agendo con il simbolo per sincretizzare più discipline: disegno, scultura, performance, installazione, costume; intelaiate nella scenografia, cucite con la musica e la coreografia per generare magici teatri dell'arte e della memoria.
    In questa sua oggi matura età e nell'attuale frangente storico, Spinazzi non smentisce la sua sensibilità e il suo essere - ante literas - un neorinascimentale. Di questo movimento, almeno, par recepire l'urgenza culturale, ovvero la necessità di portare in prima persona l'arte a una presenza significativa nel corpo sociale, come sorgente di informazione e testimone di dati etici e sapienziali, come memoria, memento e tensostruttura della civiltà.
    Coerentemente l'artista trascende la sua carriera personale, tralascia bulini e regia di teatri d'arte, per produrre momenti di scambio d'informazioni fra diverse esperienze di vita cosciente, promuovendo e producendo pubblicazioni interdisciplinari e incontri di esperti nei vari settori e fra questi e il pubblico.

    Umberto Sartori, febbraio 1999

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