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Srinagar: Kashmir - un paradiso inquieto
di Umberto Sartory - inviato il 21/08/2001 (letto 3593 volte - 1 commenti)

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Abbiamo fatto una prima visita in citta’: visitate quattro moschee e la tomba del santo sufi
Yussuf. Old Srinagar, di domenica, non sembra una citta’ in stato di allarme, solo una citta’ di
negozianti piuttosto tristi. Guardandomi in giro sono ancora colpito dalle espressioni di nostalgia
per il mondo cosmopolita che questa citta’ ha conosciuto, e che merita pienamente per l’incanto dei
luoghi, la gentilezza e la raffinatezza della sua gente.
L’ottanta per cento della popolazione cashmira pratica con notevole convinzione e coinvolgimento
sociale la religione islamica in chiave sufi: questa religione e’ basata dal punto di vista morale
sul valore della saggezza.
Pur richiedendo una disciplina di vita piuttosto rigida, i sufi sono persone estremamente
tolleranti e comunicative. Un esempio: oggi siamo stati invitati al banchetto per una figlia che
torna dal primo periodo di “rodaggio” presso la famiglia del nuovo marito. Nella confusione
dell’arrivo ho distrattamente seguito Patrizia all’interno dell’abitazione: dopo breve mi sono reso
conto di essere in una stanza piena esclusivamente di donne, e mi sono fatto riaccompagnare nella
sala in cui erano riuniti invece i maschi. Non vi e’ stato il minimo imbarazzo: le donne mi
ignoravano nel modo piu’ assoluto e dagli uomini ho raccolto qualche lieve sorriso di comprensione.
Nel corso della conversazione, al mio stupore per queste riunioni separate mi e’ stato spiegato
che soltanto in famiglia uomini e donne passano le ore di svago negli stessi ambienti: nelle
riunioni pubbliche questo non avviene per usanza antichissima.
Il principale argomento, tra loro e con me verte sulla situazione di questa citta’, strangolata
piu’ dalla paura che da reali stati di disagio. In effetti, abitando sulle house boat, si ha la
sensazione che se anche in citta’ scoppiasse una rivoluzione, questa non produrrebbe la minima
increspatura sulle acque del lago. Srinagar e’ molto vasta, cresciuta attorno a ben sette laghi di
dimensioni ragguardevoli. Abituata ad altri fasti ha riempito le rive di questi laghi di deliziose
imbarcazioni abitabili, anzi decisamente confortevoli, e sono molte migliaia, alcune delle quali
cosi’ lontane dai punti caldi della citta’ da richiedere due giorni di veloce scikara per compiere
il tragitto.

La citta’ vecchia e’ presidiata e pattugliata piuttosto pesantemente dall’esercito indiano, e
questo pesa molto sulla popolazione: vi sono voci insistenti sul pericolo per i giovani cashmiri di
scomparire in seguito a sommari rastrellamenti operati dall’esercito indiano, e su varie angherie
da parte dei militari verso la popolazione. Io non ho ancora avuto modo di verificarne alcuna, i
militari sono certo una presenza inquietante con i loro sacchi di sabbia, mitragliatrici e tutto
l’ambaradan, ma devo dire che i controlli di documenti qui continuano ad essere nulli: i soldati
sembrano fare corpo a se’, ogni tanto mi vien fatto di vederli come un’enorme gruppo di boyscout
malinconici.
Invece la situazione e’ davvero drammatica, ma non per un clima di violenza, che qui si respira
assai piu’ rado che in una stazione di Bologna o Milano, piuttosto per la rassegnazione e lo
sconforto generale della popolazione, ridotta in miseria dalla diserzione per paura dei turisti
che, sono convinto, rischierebbero assai meno di essere rapinati o violati in una houseboat di
Srinagar piuttosto che rimanendo seduti davanti al televisore nella loro casa di Montebelluna o New
York.
La popolazione dicevo mal sopporta il presidio militare, ma teme assai di piu’ la possibilita’ di
cadere in area di influenza pakistana o, peggio, afgana. La loro corale richiesta e’ quella di un
Cashmir indipendente, stato cuscinetto e forse anche interfaccia fra l’integralismo pseudoislamico
e il melting pot indiano. Sono convinto che se questi ultimi potessero togliersi il pensiero del
Cashmir senza dover temere l’affaccio improvviso sulla piana indogangetica di un esercito pakistano
o l’installazione tra le colline himalayane di centri di terrorismo operanti nel Punjab, lo
farebbero volentieri.
Ma non altrettanto puo’ dirsi da parte pakistana. Appare assai probabile che le sette violente e
arroganti, per di piu’ aureate da anni di “guerra di liberazione” avrebbero facile gioco ad
occupare posti chiave portando il paese sotto la loro sfera di influenza. Questo teme la
popolazione sufi e soprattutto temono gli indiani e il mondo occidentale.
L'indipendenza del Cashmir passerebbe quindi necessariamente attraverso una protezione dell’area da
parte di organismi internazionali, che dovrebbe garantire alla mite, operosa e intelligente
popolazione sufi il tempo di consolidare una propria forma statale libera e democratica.
Penso anche che la macchina propagandistica occidentale dovrebbe attivarsi per correggere
l’immagine corrente dell’Islam, sostituendo al fedayn imbacuccato un vero musulmano, persona
tollerante, saggia e spesso dottissima; la propaganda, almeno quella liberale e democratica,
dovrebbe privare terroristi e assassini dell’immeritato titolo di islamici, dichiarandoli anzi
nemici e traditori del vero insegnamento di Maometto.
L’occidente dovrebbe promuovere e sostenere il sufismo, perche’ esso e’ la chiave per la
convivenza sociale non solo in Cashmir ma anche nelle nostre citta’, dove la presenza muslim cresce
senza che di pari passo si sviluppino la comunicazione e quindi la tolleranza.
Nessuno qui sembra piu’ sperare nell’intervento delle Nazioni Unite, da troppi anni assente. Sono a
mia volta talora sopraffatto dalla rassegnazione dei molti amici che sto trovando qui, eppure io
sento che questa terra deve essere liberata dai suoi guai: questo lago, questi abilissimi artigiani
e squisiti mercanti hanno diritto di tornare al loro legittimo palcoscenico mondiale: non meritano
l’angolo morto in cui sono stati relegati.
Mi vien di sognare una Srinagar liberata dai turisti. Se tutti gli hippy che sono passati di qui
avessero il coraggio di tornarvi a villeggiare in massa, forse riscatterebbero alcune delle gravi
responsabilita’ del turismo. Bisognerebbe riuscire a fare di Srinagar quello che fu Berlino durante
la guerra fredda: un avamposto di vita libera, una citta’ esperimento. Se le house boat fossero di
nuovo affollate di turismo occidentale la popolazione riprenderebbe forza e fiducia, e una
massiccia presenza straniera e pacifica potrebbe sortire effetti contagiosi e calmanti anche sui
paesi vicini.
Srinagar merita e vale questo, io credo che ci ci sia stato difficilmente la puo’ aver
dimenticata: chi ha preso ad amarla anche un pochino, ci torni, Srinagar ha davvero bisogno di
aiuto.
Srinagar 21 agosto 2001 ore 02:10

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Commenti a questo articolo
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Inviato da: Umberto Sartori

A quasi undici anni e dopo molte altre visite agli Stati Himalayani, devo una postilla a questo articolo.
Non sono più tornato a Srinagar, per le ragioni raccontate già in occasione di quel primo viaggio nel diario che potete trovare nei Reportage di Venezia ObServer, ma la chiusura di quella città ha prodotto e stà producendo effetti deleteri sugli stati limitrofi.
L'isolamento ha spinto il bubbone ormai moralmente infetto di Srinegar a infiltrare i tessuti territoriali adiacenti con una diaspora di "mercanti" spregiudicati e infidi, che si sono pressocché impadroniti del prima tranquillo e onesto Main Bazar di Leh, dove si sono sostituiti alla popolazione introducendo tecniche di vendita aggressive e ingannevoli che gravemente minacciano il prestigio morale dell'intero Ladak, almeno agli occhi dei numerosissimi turisti occidentali, attratti in quel Paese dalle sue meraviglie naturali e dalla spiritualità del Buddismo Lamaista.

Inviato il 14-02-2012 17:05
 


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