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Resistere a Venezia
di Umberto Sartori - inviato il 26/12/2008


Giorgio arriva a Venezia 25 anni fa. Ha trent'anni e una vita turbolenta alle spalle, di una turbolenza grave che la società ha punito severamente. Giorgio è a Venezia perché esce da Santa Maria Maggiore. Quasi cinque anni tra quelle mura a sognare l'incanto dei canali e delle calli di cui percepisce solo i rumori e qualche scorcio dalle grandi inferriate.
Il desiderio di essere libero a Venezia diventa decisione nelle lunghe ore di reclusione in quell'antico convento francescano, e Giorgio comincia a raddrizzare la sua barca. Usa il periodo di semilibertà per riprendere e completare la scuola superiore, studiando nel convento di San Giorgio Maggiore.
Nei giorni liberi vincolati alla notte tra le sbarre, Giorgio rafforza la sensazione che a Venezia potrebbe vivere diversamente. Lasciare il bisogno di ricorrere all'anestesia dell'oppio e alle turbolenze di chi vive solo per poter dimenticare di essere vivo e sensibile.
Venezia gli da una forza che non aveva trovato altrove. In questa città si sente di poter vivere onestamente, di imparare e praticare un mestiere che lo renda socialmente utile anziché dannoso.
Studia le serrature da serraturiere, come non aveva mai fatto da scassinatore, e con appassionata applicazione diventa uno dei più stimati esperti locali in questo campo. Giorgio rispetta il suo impegno, e Venezia rispetta il suo. Ottiene e svolge incarichi di sicurezza sia per privati che per Pubbliche Istituzioni.
Diviene un veneziano d'elezione, e come tutti i veneziani d'oggi si barcamena per resistere a bordo di questa città che si vuole spopolata e distrutta.
Infatti il reddito dell'onesto lavoro di serraturiere, come quello di un qualsiasi altro onesto artigiano, non consente di affrontare gli affitti cittadini. Ma Giorgio s'ingegna e si adatta, sa farsi benvolere, e passa venticinque anni in situazioni abitative più o meno provvisorie ma tutte lecite.
In particolare il quartiere di San Vio, che meglio lo conosce, lo protegge. Ma anche qui l'espansione alberghiera lascia sempre meno spazi di residenza e di vera ospitalità.
L'ultimo anno Giorgio lo passa ospite di un amico invalido, ma poi anche l'invalido viene spostato, spodestato di una casa che aveva abitato con suo padre dalla nascita, e prima di loro il nonno. Il trasferimento avviene a causa della vendita dell'intero edificio, ceduto dall'ULSS per denaro contante.
Giorgio è più combattivo dell'amico invalido, e poi non ha alternative. Non vuole lasciare Venezia.
Nel mondo fuori di qui ha il suo passato ad attenderlo. Il suo patto di onestà si basa su un equilibrio psicologico che solo Venezia gli garantisce.
Non vuole andarsene, e decide di resistere a oltranza nell'edificio che stà per essere sottratto al Bene Comune per il profitto di una qualche losca amministrazione.
Resiste fino a quando i Carabinieri lo spossessano dell'abitazione in nome del sopruso fatto legge.
Ha solo sbagliato edificio, gli dicono in molti. Vi sono edifici occupabili e altri no, lo si può appurare in ben note liste disponibili presso un certo "centro sociale".
Ma Giorgio non vuole percorrere quella strada di effrazione "protetta". Se aveva opposto resistenza fino allo sfratto era pur sempre in titolo di possesso legittimo, ma il patto con Venezia vige ancora, non mette la sua abilità di serraturiere a procurarsi illecitamente un vantaggio.
Dove gli uomini vengono meno è Venezia stessa a offrirgli un estremo appiglio. Il praticello di campo San Trovaso consente di conficcare i picchetti di una tenda da campeggio senza danni alla pavimentazione. Giorgio sceglie il campeggio, pur alle soglie dell'inverno.
Perché ha spirito, Giorgio, uno spirito forse amaro ma preciso e perseverante. Giorgio non è un letterato, ma questo suo amore per Venezia lo avvicina a quello di Baron Corvo e di Aldo Vianello. Ai loro tempi Venezia offriva calde sentine di barche in legno come letti ai suoi sfortunati amanti, ma l'avanzare della vetroresina sigillata oggi a Giorgio impone la tenda.
E in tenda passano settembre, ottobre, novembre, buona parte di dicembre. Vi sono migliaia di case sfitte in città la cui proprietà è pubblica, eppure in questi mesi l'unica azione dell'"amministrazione" cittadina è stata il sequestro di una prima tenda. Giorgio ne ha trovata un'altra e l'espediente per impedirne il sequestro.

A sancire che anche dicembre è passato, Giorgio allestisce un albero di Natale.
il campeggio e le ospitalità occasionali non gli tolgono la volontà di partecipare alle usanze civili di questa città. Per questo rifiuta le forme assistenziali che mirano ad avvilirlo. Si sente, ed è, capace di un servizio dignitoso e molto qualificato. Svolge da anni incarichi delicati con riservatezza e puntualità; da ciò sente il diritto di non essere trattato come un incapace o un fannullone.

Io non so se Giorgio abbia burocraticamente i requisiti per l'assegnazione di una casa pubblica, ma so per certo che questa città dovrebbe cercare con ogni mezzo di attrarre a sé gli artigiani anziché allontanarli. Le migliaia di abitazioni pubbliche sfitte meglio si impiegherebbero a soccorrere i Cittadini in stato di emergenza, che a garantire torbide operazioni finanziarie tra "amministrazioni" e banche.

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