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Giorgio "Nino" Cesari
di Umberto Sartori - inviato il 08/10/2009
Non posso venire a Pennabilli per il tuo funerale, Nino, ma neppure voglio mancare al tuo ultimo saluto terreno. Così scrivo da qui qualcosa di quello che abbiamo vissuto assieme, miei ricordi che divengano ricordo di te, della nostra amicizia, del tuo passato e del tuo impegno per l'arte a Venezia.
So che preferiresti sentir parlare di artigianato anziché d'arte ma la tua innata modestia non mi compete. Sono ricordi remoti, ma non per questo meno vivi, anzi ravvivati dall'essere ormai ricordi di gioventù.

Certo sei stato artigiano abilissimo ma anche uomo generoso con il tuo sapere oltre che con i tuoi beni, sempre pronto a condividere il tuo apprendere con quello altrui, e non solo in giovinezza. Basta questo ai miei occhi per valutarti poeta nell'animo se non nelle lettere.
Molte sono le strade della Poesia e quando questa si incarna in una disciplina formale, io sono solito chiamarla Arte. È anche una questione di impegno, l'Arte, e tu mai hai chiuso la tua bottega terminato l'orario di lavoro, anzi la tua stessa casa si apriva ai compagni di avventura, quanto il tuo saper fare era aperto a chi volesse apprendere.

E quante cose sapevi fare, Nino. Sagomare a martello una minuscola lastra di metallo fino a portarla alla forma di una goccia, farne scatola monile per i segreti di ognuno; discernere la vena e la qualità di una radica già nella ciocca, lavorare la terra e allevare animali, manovrare un telegrafo navale e aggiustare una radio. E tante altre abilità variegate unite dalla sensibilità per una armonica integrazione fra Natura e Progresso.

Sei stato paziente e profondo come un orafo intarsiatore deve essere ma anche di più, perché eri capace di tradurre la virtù tecnica in stile di vita.
Mansuetudine e riservatezza ti facevano a volte apparire distante e ostico: quale stupore ogni volta nel vedere aprire in quella crosta la breccia del tuo sorriso e nel sentire fluido il calore della tua simpatia.

Né mansuetudine e riservatezza ti hanno impedito l'intraprendenza personale o quella commerciale, che ogni tuo sistema era compiuto e completo in sé, dalla produzione alla distribuzione.

Ricordo quando costruisti il forno a legna per il pane, che ti mettesti a impastare e a cuocere sulle fascine da te stesso raccolte. Pane che venivi poi a vendere nelle case di amici, che ancora potessero assaggiare il suo vero sapore pur nell'era del surgelato. Non era forse poesia quella?

E poesia era lasciare la camera di legno costruita con le tue mani disponibile a chi ne avesse bisogno, quando partivi per gli imbarchi come ufficiale radiotelegrafista. Quante volte ho potuto approfittare di questa disponibilità per vivere giorni nel laboratorio aperto che avevi creato con tuo fratello Mario e Sigfrido, al Lido di Venezia. Quanti incontri, quante serate al caminetto a discutere di materiali, tecnologia e del rapporto fra virtù e vita...

Nei tuoi ritorni vivemmo tu e io settimane in quel vostro furgone Volkswagen girando i mercatini e le fiere per portare fra il popolo l'immagine di una bellezza che non era solo nelle forme dell'oggetto ma anche nella sua storia, nell'ambiente che lo aveva generato.
Fra le botteghe d'arte che sopravvissero in Venezia nei nostri tempi il laboratorio del Lido fu il più frequentato e il meno ozioso. L'industriosità del terzetto fondatore era sempre occasione di beneficio e di lavoro anche per altri; senza mai divenire dipendenza, offriva interfacce di collaborazione amicale e spesso remunerativa ai volenterosi.
A guardarlo con l'attuale distanza prospettica, il termine bottega d'arte va stretto a quella esperienza. Se devo descriverlo con proprietà di linguaggio trovo che la parola più adeguata sia Accademia, o forse ancor meglio Museo, luogo del culto delle Muse.
Temo che non ti sarebbe affatto piaciuto sentir definire in queste parole la tua fatica di allora, parole che troppo avevi visto abusate per riuscire ad amarle. Ma so anche che ti avrei convinto della profonda ragione che mi spinge a usarle con proprietà.
Era più di una bottega, per quanto artigianale e veneziana. La qualità dell'aggregazione sociale non era impostata solo su solidarietà e socievolezza ma anche e soprattutto su operatività e collaborazione. Non era luogo per perdigiorno o persone annoiate, il Laboratorio del Lido.

Ti piaccia o no, vi si ricercava e produceva il bello, etico ed estetico, anche nei materiali più poveri e nelle forme più umili, lo ammetti velatamente tu stesso, in queste pur amare “Considerazioni” che presumibilmente Mario ti ha estorto per presentare una tua pagina Web:


Cosa si intende per artigiano? Artigiano è anche quello che infila il tronco all'inizio del macchinario e alla fine del macchinario ricava una quantità di pezzi uniformi. La sua perizia può essere superiore alla mia. Il suo impegno è sicuramente maggiore... tanto di cappello, lui è artigiano quanto me se non di più. Allora dov'è la differenza?
La distinzione non è tra artigiano e non artigiano, ma tra uno stile di vita e un altro.
Lui ha un animo imprenditoriale e impegni fiscali.
Noi sparsi per le colline cerchiamo di sbarcare il lunario, spinti dallo stato che non ci riconosce a sentirci falliti socialmente ed economicamente.
Oggi in una fiera di artigiani ufficiali, non ne trovi neanche uno autentico, a riprova delle difficoltà di sopravvivenza della categoria.
L'oggetto artigianale preso in mano, con il calore, l'aspetto, le impressioni che dà, ha un fascino che l'oggetto industriale non se lo sogna.

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