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L`epopea del baccalà - Dal naufragio di Piero Querini ai giorni nostri | |
di Sebastiano Giorgi - inviato il 24/04/2001 | |
Ripercorrere la storia di uno dei piatti più tipici della tradizione culinaria veneziana, com'è il baccalà mantecato, significa imbattersi in gustosi aneddoti di costume e linguistici di cui la lunga storia della Repubblica di S.Marco è piena. Per parlare del baccalà, che fino al dopoguerra veniva ancora battuto sui masegni delle Zattere dai manovali dei burci e dei trabaccoli, da cui deriva il detto done, cani e bacalà, no xe bon se no xe pestà, bisogna infatti risalire al 25 aprile 1431 quando una nave veneziana piena di spezie partì dall'isola di Creta sotto il comando del capitano da mar Piero Querini alla volta dei mari del Nord. All'altezza del canale della Manica il viaggio però si mise male perchè un forte vento tempestoso trascinò per giorni la nave a spasso per i mari finchè tagliato l'albero, perse le vele ed il timone i 68 marinai si imbarcarono sulle scialuppe di salvataggio. Solo 14 di loro riuscirono però a riparare sullo scoglio disabitato Sandoy nelle isole Lofoten presso la Norvegia del Nord. Dopo qualche giorno i pescatori locali li avvistarono e li portarono in salvo nell'isola di Roest, che qualche tempo dopo i marinai veneziani definirono un paradiso terrestre. La grande libertà e semplicità di costumi di quelle popolazioni colpì infatti profondamente i veneziani. In quelle 12 case che ospitavano 120 persone, tutti vivevano nudi e non si fecero alcun problema per la presenza degli ospiti tanto che il Querini racconta: Le donne restavano nude e dormivano con gli stranieri quando i mariti andavano a pescare. Quelle genti vivono il matrimonio come sacramento indissolubile e vivono senza alcuna propria lussuria, nè allievamento lo stimolo della carne. Dopo 101 giorni in quell'ospitale villaggio gran parte dei marinai decise però di tornare portando con sè 60 stoccafissi seccati. Querini durante il viaggio di ritorno passò per Trondheim, Vadstena e Londra dove fu ospite dell'allora potente comunità veneziana che risiedeva sul Tamigi. Da lì dopo 24 giorni di cavallo il capitano da mar giunse finalmente a Venezia il 12 ottobre del 1432. Tornato in laguna nella dettagliata relazione che fece al Maggior Consiglio Querini non dimenticò certo di raccontare dello stoccafisso, quella specie di pesce che i norvegesi facevano essicare al vento fino a farlo diventare duro come un bastone e poi batterlo per farne un butiro con specie per farlo insaporire. Raccontato l'aneddoto che fece conoscere ai veneziani questa antica ricetta passiamo ora alla vicenda linguistica. Il merluzzo era chiamato dalle popolazioni del Nord Europa stock (bastone) fish o vish (pesce), mentre la parola usata dai veneziani fu baccalà per assonanza con bacalhau portoghese e bacalao spagnolo, termini evidentemente derivati dal latino bacalaus, che significa bastone. Il bacalao spagnolo si riferiva però a quella specie di merluzzo che pur partendo dal Mare Glaciale Artico non va verso la Norvegia ma si dirige verso il Labrador e Terranova, dove veniva pescato e conservato sotto sale da spagnoli e portoghesi. Il nome di una ricetta diversa quindi venne usato comunemente per definire il baccalà fatto alla norvegese, stranezza che si affianca a quella del vocabolo mantecato (crema), anch'esso d'origine spagnola. Baccalà mantecato quindi come crema di stoccafisso. Sebastiano Giorgi |
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