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Calcio e doping - Intervista al medico sociale del Venezia | |
di Alessandro Ragazzo - inviato il 29/04/2001 | |
Otto casi di “non negatività” nelle ultime settimane, giocatori famosi coinvolti, sospetti, accuse, interessi di borsa (Lazio e Roma) e di stile (Juve) da difendere, fughe di notizie. E’ l’effetto doping/nandrolone abbattutosi sul nostro calcio già da qualche tempo, ma che nelle ultime settimane sembra accentuarsi. Insomma, per il pallone nostrano non c’è mai pace. Tre anni fa l’allenatore boemo Znedek Zeman, all’epoca alla Roma, accusò importanti calciatori di fare uso di sostanze proibite per “pompare” i muscoli. Da allora, interrogatori di procure di mezza Italia a medici e preparatori atletici, accusati di somministrare ai calciatori sostanze illecite. Poi nel 1999 scoppiò il caso Pantani, trovato ad una tappa del Giro d’Italia con i valori d’ematocrito alti. Pure il ciclismo perse credibilità, anche per i casi di doping al Tour de France l’anno prima. Il governo sportivo italiano qualche mese fa ha approvato una legge sul doping, rendendo più dure le pene per medici e calciatori. E dire che doping e nandrolone non sono scoperte recenti. Già dal 1959 il nandrolone apparve sul mercato. Assieme al testosterone è uno dei prodotti dopanti più utilizzati nello sport. Prescritto di norma per curare la magrezza costituzionale, la denutrizione e la fragilità delle ossa, soprattutto negli anziani, viene utilizzato dagli sportivi per “gonfiare” i muscoli e far fronte alla distruzione della massa muscolare dovuta agli allenamenti intensi. “Ci sono due vie per somministrare questo farmaco - afferma il dottor Claudio Rigo medico sociale del Venezia e da diciotto anni nel mondo del calcio - una è intramuscolare e l’altra orale. I tempi d’eliminazione sono diversi, poiché nel primo caso si possono avere dei riscontri positivi nelle urine anche per cinque-sei mesi. Anche da un esame dei capelli si può capire se la persona è positiva al nandrolone, ma solo nel caso di un uso cronico di questa sostanza. Una sola assunzione, magari in dosi minime, può passare inosservata all’esame dei capelli”. Alcuni calciatori si difendono dicendo che non possono controllare il contenuto di una flebo perché non sono medici. “Questo tipo di farmaco non viene somministrato per via endovenosa. Nessun medico del calcio sarebbe così pazzo da dare ad un atleta una sostanza del genere”. Otto casi di “non negatività” nel calcio in queste settimane. Lei come medico che idea s’è fatto? “Ho l’impressione ci sia una grande confusione sull’argomento. Intanto le “non negatività” al nandrolone sono diagnosi di presunzione, non sono certe (occorrono, infatti, le controanalisi n.d.g.). Per alcuni farmaci, i metaboliti che si vanno a trovare nelle urine possono avere come unica origine un farmaco illecito. Nel caso del nandrolone, la quota arbitraria fissata per non essere negativi è di due nanogrammi (un miliardesimo di grammo) per millilitro. Chi ha determinato questo limite, ha preso in considerazione la possibilità che un individuo normale possa eliminare quegli stessi metaboliti prodotti dall’assunzione di nandrolone”. E’ vero che il nandrolone può provocare i tumori? “Sì. Non solo il nardrolone, ma tutti gli anabolizzanti assunti in dose elevate (non è il nostro caso) possono dare dei grossi danni nella crescita delle ossa lunghe, effetti collaterali di virilizzazione, soprattutto nelle femmine, tumori epatici e gravi danni alla funzione riproduttiva”. Ma allora il calcio è pulito? “Sì. Gli atleti trovati “non negativi” sono “falsi positivi”. Mi sono interessato molto all’argomento e ho trovato delle pubblicazioni scientifiche secondo le quali, l’escrezione fisiologica dei metabolici che l’organismo produce, gli stessi del nandrolone, possono moltiplicare questo fattore di due o quattro in condizione di particolare stress fisico, psichico e anche d’influenza. Ecco allora la falsa positività. Diremmo che l’atleta ha assunto sostanze illecite, ma in realtà le ha prodotte di suo, per gli effetti elencati prima”. Se si giocasse meno, girerebbero meno voci sul doping? “Chi può dirlo. Degli studi su questo tema non sono stati fatti. Il criterio che prima le citavo andrebbe rivisto alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Ci può essere un’altra teorica “falsa positività”, attraverso l’assunzione d’integratori che non hanno passato il vaglio del ministero della Sanità e possono essere “inquinati” di nandrolone. Ecco allora che il soggetto pensa d’aver ingerito una sostanza e poi si ritrova “non negativo”. Ma anche questo è tutto da dimostrare”. A Venezia non avete problemi soprattutto dopo il caso del difensore Simone Pavan? “Nella vicenda Pavan, pur non potendo la commissione giudicante ammetterlo chiaramente, penso sia stata ritenuta buona la mia tesi difensiva. In altre parole, in quel momento l’atleta aveva prodotto un po’ più di metabolici rispetto al normale”. In tutto questo polverone, lei è tranquillo? “Si può essere tranquilli e preoccupati allo stesso tempo. Se è vero che in alcuni casi dei soggetti possono andare sopra la soglia minima, è chiaro ci potremmo trovare ancora dei “falsi negativi”. Si tratta poi di dimostrare che l’atleta non abbia assunto sostanze dopanti”. E i controlli sul sangue, si possono fare? “Per una questione etica, non si può obbligare un atleta a sottoporsi alla venopuntura. Nell’ipotesi di un soggetto che abbia assunto del nandrolone per via intramuscolare, potremmo non trovarne traccia sul sangue dopo due mesi ma avere i valori alti nelle urine. Anche l’esame del sangue ha quindi limiti notevoli. A parer mio, si dovrebbero fare degli studi per chiarire la vera soglia d’eliminazione fisiologica in assenza di contaminazione alimentare, farmacologia o d’assunzione fraudolenta di sostanze vietate. Alessandro Ragazzo |
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