Up ]

Shambalà Hotel, Katmandu, 10 

C’è qualcosa di epico, nel superare un camion che arranca in salita sbucando dalla densa nube di fumo nero del suo scappamento. Si scende dalle moto coperti di polvere come i cow boy degli western all’italiana. Il viso si segna di nero nelle pieghe dei lineamenti e nelle rughe.

Il modo di circolare continua a insegnarmi cose sulla via nepalese alla vita che, quando mi sollevo dall’insofferenza per i difetti, mi trovano in armonica affinità.

Qui le macchine, le moto, i camion, gli autobus, la grande famiglia dei tricicli, quella dei carretti spinti a mano, gli storpi su mezzi di locomozione disparata, i trasportatori a spalla di colli del volume di un furgoncino, i bufali, le mucche, i vitelli, i tori, i cani, le capre, le galline, anatre papere e oche, i corvi, i saltapicchi e i pedoni umani si muovono con densità e comportamento analogo a quello del flusso pedonale in una via affollata di Venezia. Ognuno si pone nel traffico e vi cerca il suo posto non in base a una categoria (pedone, automezzo, animale) ma in base a una valutazione personale, che mira ad “accomodarsi” in un impacchettamento fluido lubrificato dall’aria. Non ci si tocca mai, o quasi mai e, incrociando le dita che non accada in questi ultimi giorni, nonostante il livello di ravvicinamento che si raggiunge, su fondi sconnessi e in direzioni le più disparate, non abbiamo assistito a incidenti che richiedessero un carrozziere. Molte delle auto in circolazione, soprattutto i taxi, cadono a pezzi, ma per anzianità di servizio e per le condizioni delle strade, mentre conservano carrozzerie quasi del tutto prive di ammaccature. Per uscire dai trombi che si formano nelle stradine, raramente più larghe delle Mercerie a San Salvador, si sguscia con tolleranze di contatto inferiori ai 5 centimetri. Eppure anche l’ingorgo più intricato si è sempre risolto nello spazio massimo di qualche minuto di più o meno intensa attività di accomodamento. Il senso del clackson, poi, comincia a diventarmi addirittura grato. Non vuole mai provocare allarme, o indicare la richiesta perentoria di un qualche preciso comportamento di risposta. Suggerisce invece: “sto arrivando, tenete conto anche della mia presenza nel vostro piano di navigazione”. Di notte, nel traffico più rado,  questo mezzo di comunicazione viene sostituito dal lampeggiare degli abbaglianti.

Si entra nel traffico come si entrerebbe nella sala di un convivio in piedi, salutando chi si incontra con cicalini squillanti o fiotti di luce, infiltrandosi poi nel suo fluido come un granello di sabbia scende verso il centro del cono ma senza altro contatto con le particelle del flusso che quello, quasi universalmente condiviso, di non urtarsi. C’è in questo il senso analogico di una civiltà evolutissima sul piano del rispetto individuale, cui non sembra far riscontro però un adeguato livello di consapevolezza sociale, se non nella religione.

La sottomissione coatta alle regole gerarchicho-parentali ferree e decisamente antiquate dei clan riduce molti adolescenti in stati di frustrazione da rasentare l’ebetismo, che del resto non sembra essere visto di cattivo occhio quasi da nessuno, considerato forse una forma di estasi alla portata di tutti, senza il bisogno di doti ascetiche. Quelli che non si inebetano o si omologano alla figura internazionale dell’intromettitore di turisti (nel senso di colui che cerca allegoricamente di intromettere una certa sua parte nel turista stesso) sono miti, gentili, svegli e di intelligenza pronta, pratica e ingegnosa. Hanno sguardi e moti sbrigativamente franchi, nel commercio non amano intrattenersi eccessivamente con la contrattazione ma vi preferiscono discorsi personali o di costume. Sono ospitali e pronti a condividere il loro cibo.  Nell’artigianato sono abili fino al virtuosismo, e ne praticano gran varietà, dalla tessitura al metallo, al legno, alla galenica, sincretizzando le tradizioni locali già di per sè plurime con gli apporti occidentali a loro più consoni, quelli prodotti dall’esperienza psichedelica.

I denti incredibilmente bianchi nonostante il betel, forti da stappare i durissimi tappi a corona in ferro delle bibite locali brillano spesso in sorrisi di intesa che si ripercuotono negli occhi facili all’ilarità e all’ironia. Forse riferiscono ai denti quando rispondono, in merito alla scarsa dolcezza dei loro dolci, che lo zucchero in Nepal costa caro…

116KhokanaIntagliatore.jpg (64433 bytes)

È bello star seduto assorto fianco alla finestra e sentire oltre le zanzariere in ferro la pioggia che accarezza il prato e lo fa fremere. Il sopore mi si sta insinuando, iernotte ho scritto fino alle quattro e mezza e oggi, dopo sbrigata la quotidiana razione di affari per la questione magliette, è stato tutta una scorribanda in moto sulle colline circostanti, prima a controllare la lavorazione delle due custodie in bambù per il flauto di Alessio e mio presso l’artigiano di un paese, poi al cia shop vicino alla cava di marmo, alla cui gente porto le foto promesse giorni fa. Sono realizate con l’ultima tecnologia Kodak per la stampa da digitale, e sono costate una piccola fortuna in New Road a Katmandu. Quando le vedo in mano al bambino penso a un analogo bambino di campagna di duecento anni fa, alle prese con un daguerrotipo lasciatogli in ricordo da un viaggiatore straniero. Mi sento a volte ripercorrere situazioni della mia infanzia con un ribaltamento di ruoli. La mia casa incrociava i percorsi di numerosi visitatori esteri, e tutti loro erano gentili con me, spesso mi portavano doni e mi aprivano spiragli sui loro mondi e modi di essere. So che cerco di fare come loro, di lasciare nei bimbi e nelle persone che incontro il sapore fresco di quello stesso mio ricordo infantile.

119Gopal&Son01.jpg (76269 bytes) 119Gopal&Son02.jpg (67231 bytes) 119CiaWoman03.jpg (65093 bytes) 119Guard04.jpg (37417 bytes) 119GopalSon05.jpg (66504 bytes) 119Somebody06.jpg (29661 bytes) 119Sky.jpg (22512 bytes)

C’è anche Edwin, di cui parlare, il ragazzo belga che apre e chiude questa immersione in Katmandu. Lo abbiamo incontrato il secondo giorno in albergo, e per un paio ci ha accompagnato nelle gite in moto, poi si è spostato a Pokhara, per ricomparire alla gita di oggi come presenza leggera e simpatica. Prima della sua partenza per Pokhara, passammo una lunga sera di intensa comunicazione, in cui lo iniziai alla dottrina di quella parte della magia naturale che si celebra nel rito della canapa. Dopo che nel suo viaggio ha avuto modo di praticarla sperimentalmente, assisto oggi al sedimentare dell’esperienza in quegli a me ben noti interrogativi sulla puerilità del proibizionismo che immediatamente si allargano a interrogativi più generali sulla civiltà d’occidente. Destituite dall’evidenza le demagogie moralistico-eugenetiche, passiamo in breve rassegna ragioni economiche come la riduzione del consumo di alcool, tabacco e farmaci nei soggetti pur dediti, conseguente all’assunzione frequente di cannabinolo e quelle inerenti la media psicologia borghese, come la paura del vuoto e dell’ignoto. Adesso che ha una conoscenza sperimentale diretta del problema, la nostra identità di vedute e di interrogativi è pressochè totale. Lavora a livello dirigenziale in una grossa azienda metallurgica, devo ricordarmi di metterlo in avviso sulla presumibile reazione dei suoi colleghi di fronte alla sua “scoperta” della canapa. Non sono più tempi durissimi, daccordo, ma vedo che ancora lui non si rende ben conto che alcuni valori non sono così facilmente comunicabili a chi non ne condivide o, peggio, non ne vuole condividere, gli assunti esperienziali. 

117_ConEdwin.jpg (87076 bytes) 118Pattye_Ale1.jpg (81473 bytes)

09/08/2000 01:47