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Shambalà Hotel, Katmandu, 6

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Qualcosa deve essere successo davvero, perché in strada trovo una camionetta con i vetri sfondati e i resti di molte fiaccole fumiganti. Mi avvio verso Thamel per cambiare del denaro, ma evidentemente la manifestazione ha preso un’altra strada, visto che ben presto le tracce del suo passaggio scompaiono. Incontro Patrizia e Alessio nel Cyber Joint, e ceniamo in albergo, dopo che ho mostrato ai ragazzi del personale il sito sul viaggio che sto componendo. Lo faccio perché Alessio mi ha detto che da giorni gli avevano chiesto di poter vedere il computer con cui mi vedono girare, e che spesso affido alla loro custodia per non dover risalire in stanza (pare che a me non osassero chiedere, la mia età li metteva in soggezione). Sono ragazzi simpatici, probabilmente appartengono allo stesso nucleo familiare, buddisti e tibetani.

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Sono alla mattina dello sciopero generale, che si annuncia (la mattina, non lo sciopero) con i consueti tambureggiamenti dal tempio e con spiragli di Sole tra la pioggia.

Da quanto ho capito lo sciopero viene preso molto sul serio, pare che nessun esercizio oggi sarà aperto, mi dicono che i manifestanti hanno il vezzo di sfasciare tutto al loro passaggio. Ci sconsigliano anche di girare in moto. Il problema verte su una recente legge che riconoscerebbe la cittadinanza nepalese ai residenti stranieri che hanno maturato 15 anni di permanenza. 

02/08/2000 09:40

 

Ci rechiamo a piedi a Durbhar Square, che presumiamo sarà il centro delle manifestazioni. Io so che non è così, i punti di raccolta dei manifestanti sono oltre la prima cinta urbana, probabilmente nelle piazze che immettono sulla Ring Road, dove gli spazi sono molto ampi, ma lascio che Patrizia e Alessio lo pensino. Solo gli irriducibili forse raggiungeranno il centro, verso sera.

La città però è completamente diversa: non ci sono automobili né grossi automezzi, poche biciclette e pochissime moto. Quasi tutti i negozi sono chiusi, anche se molti proseguono l’attività con le serrande chiuse. Cè una grande mucca senza corna e un occhio bianco che incontro spesso in questa zona con il suo vitellino.

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In una bottega intravedo dei cesellatori di perle d’oro, ci fermiamo e fotografo il loro modo di lavorare. Sono credo specializzati nello sbalzo e cesello di cilindri da infilare.

Lavorano un oro così sottile e morbido che lo modellano a contraccolpo. Cioè hanno lunghe incudinette aggettanti, e fanno agire la loro punta ricurva e sagomata sul metallo percuotendo con un martelletto la radice dell’incudine, come forse si può capire dalla prima foto. Nella seconda il ragazzo sta riscaldando una pece molle, poi la manipolerà in lunghe stringhe, da tagliare a pezzi per colmare i cilindri che, dopo lo sbalzo, vengono cesellati dall’esterno. Saldano a feruminatoio da basse ciotoline di combustibile dal cui beccuccio sporge uno stoppaccio libero acceso. Con l’aria soffiata dal cannello a bocca, ossigenano la fiamma e contemporaneamente spingono il combustibile verso lo stoppaccio per sovralimentarlo (il giorno dopo, recandomi da loro di mattina, scopro che il combustibile è paraffina solida, che diviene via via liquida con il riscaldarsi della ciotolina).

In tutta la piazza, che di solito ne brulica, c’è un solo “banchetto” di souvenirs: imperterrito tenta di rifilarmi una statuetta colata in gesso come vero intaglio in osso di yak. Mi irrita, e senza mezzi termini gli faccio notare la sua menzogna negli inequivocabili dettagli della manifattura (tracce di giunzione dello stampo, bollicine d’aria nella colatura). Assume un’aria desolata, gli giro le spalle e me ne vado. Le piccole venditrici di ortaggi e frutta costellano tutti gli orli dei templi con la loro merce esposta a terra, fino a sera.

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Katmandu senza traffico automobilistico torna credo ad alcuni suoi tratti autentici. Gli innumerevoli tempietti che costellano le strade rivelano al tempo stesso il loro grave degrado e la loro struttura, nata per una città pedonale. Al centro e a quasi ogni angolo di minuscoli incroci, stentano a resistere agli HP dei camion e delle Toyota. Sono molto venerati, sempre oggetto di gesti pii da parte dei passanti, coperti di offerte in fiori colori e cibo, ma in pessimo stato. Un Nandu (toro sacro in pietra che guarda quasi ogni tempio o altarino) di piccole dimensioni, con la sua buca d’acqua sacra davanti trasformata in pozzanghera, fa da spartitraffico in uno dei rami della piazza monumentale, trafficatissima.

Senza le automobili e i motorisció (quelli a pedali invece circolano, anche se pochi), tento un passaggio a pettine nella zona in cui abitiamo, entrando in alcuni dei pertugi che ammettono a corti interne e fanno da filtro quasi invisibile verso la rotabile parallela sull’altro lato degli edifici. Alcune corti sono molto grandi e di chiaro impianto monumentale. Le pavimentazioni sono in cotto posato con arte tale da durare sino a noi, si direbbe centinaia di anni, senza aver subito alcuna manutenzione.

Naturalmente sono in condizioni pessime, semiallagate e ampiamente sconnesse, ma ben vi si legge ancora la trama di una complessa spina di pesce. Al centro della corte, solitamente, un grande stupa o un tempio a pagoda, guardato da uno o piu Nandu e circondato di altarini minori nelle fogge più svariate, dall’edicola in pietra al semplice sasso naturale. Sono numerose anche le steli, coperte di fitta scrittura.

In una di queste corti incontro un altro gruppo di bambini. Li fotografo una prima volta a loro insaputa, e quando se ne accorgono si infervorano di spirito collaborativo e cominciano a posare. Spero che Alessio li fotografi mentre si accalcano attorno al monitor della Epson per vedere l’ultima foto. Sono anche molto educati, e quando me ne vado insistono per stringermi la mano più volte ciascuno.

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Nella zona di New Road, sulle sue strade larghe, squadre di ragazzi giocano a cricket e a calcio. Sono uscito con gli scarponi e adesso il sole buca le nubi, alzando la temperatura, sì da farmeli sentire come un peso, così torno verso l’albergo. Da alcune porte aperte colgo altri tempietti  in pietra in quasi tutte quelle che sembrano piccole corti private. I turisti in circolazione sono aumentati, Mi sembra di distinguere parecchi italiani e un gruppo di spagnoli, oltre ai post-hippy anglofoni di tutte le nazionalità.

Sulla via del ritorno l’attività clandestina si è fatta meno prudente, più di qualcuno ci invita nella bottega dalla porta semichiusa.

Ci sono numerosi presidi di polizia acquartierati nei templi dei crocevia, in atteggiamento molto rilassato, armati di vecchi moschetti, bastoni e khukuri al posto della fondina. Il khukuri è il coltellaccio tipico nepalese, con la lama curvata a goccia verso il basso. Sembra anche essere uno dei loro emblemi nazionali, e da il nome a una popolare marca di sigarette. Presumibilmente vi si connette l’orgoglio di invincibilità guerriera dei Gurka.

A ogni modo non percepisco tensione in città, c’è più l’aria di una vacanza imprevista, nella zona in cui ci troviamo, forse i focolai di malcontento sono lontani, o forse, come ieri, si accenderanno questa sera. Riattraversiamo il centro dribblando i nugoli di venditori a braccio di balsamo e scacchi, le rastrelliere a ombrello rovesciato dei flautai e i sussurratori d’offerte di droghe varie e finalmente posso sedermi sul letto a scrivere.

Scarico le foto dalla macchina e mi metto al tavolino per preparare la pagina HTML. Patrizia e Alessio sono di vedetta sulla porta dell’albergo 4 piani più sotto, con la speranza di veder passare qualche manifestazione. Giunge voce che in città, da qualche parte abbiano bruciato due autobus, ma penso si riferisca a fatti di ieri sera.

Nel patio della scuola deserta dalla finestra vedo stazionare uno dei piccoli branchi di cani randagi e miti che percorrono la città dolci e molto schivi. Patrizia sta scrivendo un suo diario parallelo a questo nel suo quaderno, me ne legge alcuni passi, che trovo intensi e molto scorrevoli, anche se a volte indulge in imbardature misticheggianti e infioretta in chiave letteraria le sue reali esperienze. Lo fa intenzionalmente, è un suo modo di rendersi più affascinante il viaggio.

Piove ancora, forse tornerà sul nostro terrazzino lo stormo di corvi che vi si rifugia.

02/08/2000 17:18