- S. Maria del Rosario
(Parrocchia di).
- Vedi Gesuati (Fondamenta delle Zattere alli ecc.).
- S. Maria Formosa
(Parrocchia, Campo, Rio, Borgoloco).
- Dicesi che la Beata Vergine apparisse al vescovo S. Magno
comandandogli d'erigerle una chiesa ove avesse veduto fermarsi una bianca nuvoletta. Ciò venne eseguito, e la
nuova chiesa, fabbricata colla cooperazione della famiglia Tribuno, dedicossi alla Purificazione della Beata
Vergine, e volgarmente si disse di «S. Maria Formosa» in memoria della vaga forma in cui la madre di Dio
apparve al Santo. Questa chiesa, dichiarata subito parrocchiale, si rifece, non passati ancora due secoli dalla sua
fondazione, per opera dei figli d'un Marino Patrizio nell'864. Si rifece un'altra volta dopo l'incendio del 1105. Si
rialzò dai fondamenti nel 1492 sul disegno di Moro Lombardo. Nel 1541 se ne edificò la facciata verso
il Ponte, e nel 1604 quella verso il Campo per cura della famiglia Cappello, e sullo stile del Sansovino, stile che
seguitossi anche nella rinnovazione dell'interno, fattasi nel 1689 a spese di Torrino Tonini, ricco mercadante. La
chiesa di Santa Maria Formosa ebbe un altro restauro interno nel 1842. Quanto alla parrocchia, essa nel 1810
subì una rinnovazione ne' suoi confini. Imperciocché perdette alcune frazioni che s'aggregarono alle
due parrocchie di S. Zaccaria e dei SS. Giovanni e Paolo, e ne acquistò alcune altre, appartenenti a S.
Marina e S. Giuliano, con intero il circondario di S. Leone.
Circa la visita che il doge e la Signoria facevano annualmente alla chiesa di S. Maria Formosa,
vedi Casselleria (Calle di), e S. Pietro (Parrocchia ecc.).
In Parrocchia di S. Maria Formosa testò il 4 dicembre 1393, in atti Marco di Raffanelli,
Verde, figlia di Martino dalla Scala signore di Verona, e vedova di Nicolò d'Este marchese di Ferrara, la
quale, disgustata d'Alberto suo cognato, successo nel 1388 a Nicolò, avevasi ritirato a passare gli
ultimi suoi anni in Venezia. Qui fu sepolta in chiesa dei Servi nel 1394, e non 1374, come si legge nel
Sansovino, ed altri che riportarono le iscrizioni laterali al nobile altare eretto più tardi dai
Procuratori di Citra coi danari lasciati da Verde, sul disegno di Guglielmo Bergamasco, nella medesima chiesa
dei Servi, ed ora trasportato in quella dei SS. Giovanni e Paolo.
Scrive il Sanudo all'anno 1515, 4 marzo: «Ancora in questa mattina, all'hora di la messa
granda, fu ammazzato uno fiol di... Coresi di ani... sul Campo di S. Maria Formosa per s. Sebastiano
Arimondo di s. Fantin, che era suo compagno, et io li vidi dar con altri zentilhomeni più ferite nel
petto di uno fuseto. E' onde morto lì sul campo. El qual s. Sebastian à poco cervello
poiché, benché lo vedesse morto, vene, poi disnar, a consejo, et io etiam il vidi, ma da soi
parenti fo fato andar zoso, et andoe».
In parrocchia di Santa Maria Formosa si ritrasse a menar vita meretricia Veronica Franco, della
quale abbiamo parlato più addietro, e ritorneremo a parlare in appresso. In un opuscolo rarissimo,
impresso nel secolo XVI col titolo: «Questo si è il Catalogo de tutte le principal, et più
honorate cortigiane di Venetia», di cui possedeva il Cicogna una copia a penna, ora nel civico Museo, si
legge: «Vero. Franca a Santa Mar. Formo. Pieza so mare. Scudi 2».
A S. Maria Formosa abitò e morì Celio Magno, detto dal Carrer «uno dei
più illustri poeti del suo tempo, e degno d'illustrare qualunque tempo». Nel necrologio
parrocchiale abbiamo: «Adì 6 april 1602. Il cl.mo sig. Celio Magno, de anni 66, amalado de ponta
giorni otto».
A S. Maria Formosa cessò di vivere Trajano Boccalini nato da padre romano in Loreto,
autore dei «Ragguagli di Parnaso», della «Bilancia Politica», e d'altre opere. Ricorda Apostolo
Zeno che il necrologio parrocchiale registra in data 16 novembre 1613: «Il sig. Trajano Boccalini, Romano,
d'anni 57, da dolori colici e da febre». E noi a nostra volta trovammo nei Necrologi Sanitarii: «A
dì 29 novembre 1613. Il sig. Tragian Boccalino, de anni 57 in c.a, da dolori colici et febre, g.ni
15, medico il Amalteo, S. M. F. sa». Notisi che, sebbene da tutte due le citate annotazioni naturale
apparisca la morte del Boccalini, è credibile tuttavia ch'essa fosse violenta. Il cardinale Bentivoglio,
Lorenzo Crasso, e Gian Nicio Eritreo si fecero banditori d'una popolare tradizione, secondo la quale, avendo il
nostro autore esasperato co' suoi scritti alcuni potenti, fu in tempo di notte assalito, mentre giaceva a letto,
e sì sconciamente battuto con sacchi pieni d'arena da doverne in breve venire a morte. Noi però
siamo di parere che questa diceria dipendesse unicamente dall'avere il Boccalini medesimo raccontato che il
matematico Euclide ebbe a soffrire tal genere di morte per aver detto che tutte le linee dei pensieri e delle
azioni dei principi e dei privati si riducono a cavar con gentilezza i danari dalla borsa del compagno per
metterli nella propria. Crediamo poi maggiormente vera l'asserzione dei figli di Trajano, i quali, in una
supplica ai Capi del Consiglio dei X, affermarono che i «Ragguagli di Parnaso» furono l'opera che
«accelerò con la violenza dei veleni il fine alla vita» del loro genitore.
Nella stessa parrocchia morì pure l'11 ottobre 1764 l'architetto Giovanni Scalfarotto. Ed
il 18 luglio 1779 vi morì «Luisa Bergalli, moglie del nob. sig. Conte Gasparo Gozzi q. Giacomo». E
nel 1798 l'architetto Bernardino Maccaruzzi.
Il «Campo di S. Maria Formosa» è cospicuo per varii palazzi. Al «Ponte di Ruga
Giuffa», a destra, scorgesi il palazzo Malipiero, poscia Trevisan, architettato nel secolo XVI da Sante
Lombardo. Nel centro del campo, presso l'imboccatura della «Calle degli Orbi», il palazzo archiacuto
Vitturi. Quindi, passata la «Calle Lunga», gli edifici, pure archiacuti, dei Donato, sopra la porta di
uno di quali havvi una testa di marmo collo stemma della famiglia. Qui abitava quell'Ermolao Donato, uno dei
capi del Consiglio dei X, che, mentre il 5 novembre 1450, a 4 ore di notte, ritornava a casa, riportò,
presso la sua porta, per mano d'uno sconosciuto, varie ferite, le quali, dopo due giorni, lo trassero alla
tomba. Fu perciò catturato, posto a tortura, e, benché nulla confessasse, relegato in Candia
Jacopo, figlio del doge Francesco Foscari, come sospetto d'aver ordinato l'assassinio.
Chiude finalmente il «Campo di S. Maria Formosa», dal lato di settentrione, il palazzo
Ruzzini, quindi Priuli, disegnato da Bartolammeo Monopola.
In questo Campo, adorno di nobili arredi, si diede nel 1686 un notturno spettacolo di fuochi
artificiali per festeggiare la presa, fatta dal Peloponnesiaco, di Napoli di Romania. Si scorgeva da lungi
Napoli, munito di cannoni e di difensori vestiti alla Turchesca. Di faccia sorgeva il monte Palamede, ove i
Veneziani stavano schierati in ordine di battaglia. Mediante fuochi era simulato il bombardamento del castello,
donde con altri fuochi rispondevasi. Succedevano quindi gli assalti, i conflitti, e gli scoppi delle mine; i
Turchi alzavano bandiera bianca; sfilavano gli ostaggi; conchiudevasi la capitolazione; ed appariva sulle mura
il vessillo di S. Marco.
Nel Campo medesimo si celebrò nell'anno seguente una magnifica caccia di tori ed orsi in
onore di Ferdinando Gran Duca di Toscana. Nacque però che nel mezzo della festa cadesse una altana, nella
qual occasione perirono due donne, salvandosi un prete rimasto attaccato ad una grondaja (Codice Cicogna 2978).
Per la voce «Borgoloco» vedi Borgoloco (Ramo ecc. di).
- S. Maria Maggiore
(Ponte, Rio, Fondamenta).
- Correva voce nel secolo XV che un eremita, abitante in questo rimoto angolo
della città, avesse veduto più fiate una matrona di grande bellezza passeggiare con un bambino fra le
braccia sulla laguna, e che tale prodigio fosse stato ammirato eziandio da alcuni buoni pescatori dei contorni.
Aggiungevasi che il beato Bernardino da Feltre aveva predetto doversi erigere in questa situazione un convento di
monache Francescane. Animata da tali voci, Catterina, romita di S. Agnese, domandò al Senato un tratto di
terreno degli «arzeri novi» a S. Andrea, ed ottenutolo nel 1497, fabbricovvi sopra una piccola chiesa, ed un
monastero dedicati alla Vergine, ed a S. Vincenzo. Questa chiesa fu poscia rinnovata nel 1502, a merito di Luigi
Malipiero, e denominata di Santa Maria Maggiore, avendosi seguito nell'erigerla il modello di quella di Santa Maria
Maggiore di Roma. Dilatato venne pur il monastero, che nel 1503 si ridusse, per ordine di Alessandro VI, sotto il
serafico istituto. Rimasero le monache affidate ai frati Minori fino al 1594, in cui furono sottoposte alla
giurisdizione dei patriarchi di Venezia. Nel 1805 vennero concentrate con quelle della Croce, ed il monastero di S.
Maria Maggiore, per decreto 26 novembre 1806, consegnossi al militare. Nel 1817 esso bruciò senza che pur ne
fosse tocca la chiesa. Questa, uffiziata dopo la partenza delle monache da un prete, il quale vi fece qualche
restauro, venne poscia ceduta all'Amministrazione dei Tabacchi, ed è tuttora in suo potere.
Circa gli scandali che, come tante altre, diedero al mondo anche le monache di S. Maria Maggiore,
leggiamo nei «Diari» del Sanudo sotto il 22 agosto 1502: «In questi giorni fo retenuta per il
patriarca con li Avogadori Suor Maria, priora di Santa Maria Mazor, con do altre monache, le qual se
impazavano con un prete Francesco, stava a S. Stai, bel compagnon, et etiam lui retenuto. Hanno confessato
"uterque" quello che facevano; "ergo sub specie sanctitatis multa mala fiunt"; et fo tolte molte
robe in casa di prè Francesco che ditta suor Maria ge l'haveva donate, et fo vendute al incanto, e li
denari dati alli procur. di la chiesa predicta. Or fo condannà p. Franc.o a X anni in prexon, e suor
Maria confinata in Cypro a pan et aqua, et questo per sententia dil patriarca, et cussì la fu
mandata».
Trovasi nel «Giornale delle cose del mondo avvenute negli anni 1621-1623» (Codice Cicogna
983), e precisamente nel «Supplimento di Venezia 12 febbraio 1621», la notizia seguente: «Domenica
sera sopra una festa a S.ta Maria Maggiore fu ferito da tre ferite il Cl.mo Ser Polo Morosini fo de Ser
Gerolamo dicesi da un altro nobile, col quale venne a contesa».
-
S. Maria Mater Domini
(Ponte, Rio, Campo).
- E' tradizione che la chiesa di S. Maria Mater Domini sorgesse nel 960 per opera
delle famiglie Zane e Cappello, e che fosse sacra in origine a S. Cristina, venendo a quel tempo uffiziata da
monache. Nel 1503 atterrossi, e si rifabbricò, «mettendo», dice il Sanudo, «l'altar grando a
l'incontro dove era». Ridotta a termine, consecrossi il 25 luglio 1540 da Lucio vescovo di Sebenico. Il
Temanza la vuole architettata da Pietro Lombardo, non senza l'opera del Sansovino. Fu parrocchiale fino al 1810, ed
ora è succursale di S. Cassiano. Il suo campanile, eretto anticamente dai Cappello, rinnovossi nel 1743.
Scrive la Cronaca Magno: «Del 1150 uscì fuoco casualmente da la contrà de santa
M. Mater Domini, et la bruzò tuta; poi andò a S. Stai, S. Stin, santo Agustin, S. Boldo, S.
Jacomo de luprio, san Zan degolado, santa Croxe, S. Simeon Profeta, S. Simeon Apostolo, S. Baxegio, san
Nicolò de Mendigoli, et san Raffael, et bruxò in Venetia assai caxe».
Havvi un decreto del Consiglio dei X, colla data del 24 aprile 1488, per cui ordinavasi che,
essendo il portico della chiesa di S. Maria Mater Domini ricettacolo, specialmente in tempo di notte, di sodomie
ed altre disonestà, né potendo esso, per la sua posizione, essere distrutto, come aveasi fatto
d'altri portici, venisse cinto di tavole, e fornito di una porta, la quale si dovesse chiudere dopo le ore
ventiquattro.
In «Campo S. Maria Mater Domini» esistono ancora gli antichi edificii della famiglia Zane,
che, secondo le cronache, vennero nel 1310 bollati col S. Marco, avendo chi li possedeva preso parte alla
congiura Tiepolo-Querina. L'edificio presso la chiesa ha tuttora sul pozzo della corte interna la volpe
rampante, stemma della famiglia Zane.
Accanto a questo edificio sul principiare della così detta «Calle Lunga» scorgesi
una porta che reca sugli stipiti lo stemma Cappello e che guida ad un giardino, area un tempo d'antico palazzo,
ora distrutto, di proprietà Cappello, il quale dal lato opposto guardava colla facciata il «Rio della
Pergola». Aldo Manuzio il «Giovane» nella «Vita di Cosimo dei Medici», pubblicata nel
1586, racconta come Maria Salviati di lui madre, qualche tempo dopo la resa di Firenze all'armi di Carlo V,
venne col suddetto principe, allora molto giovanetto, a Venezia, ed «abitò più d'un anno in
casa Cappello nella contrada di S. Maria Mater Domini, nel rivo detto della Pergola col sig.r Bartolomeo, il
cavaliere, padre della serenissima Gran Duchessa presente, et coi fratelli mentre viveva il padre».
Racconta pure come un giorno Cosimo, giuocando e scherzando con altri suoi coetanei, cadde nell'acqua, ove
sarebbesi affogato senza il pronto aiuto prima di sua cugina Luigia d'Appiano, allora fanciulletta, che
l'afferrò pei capelli, e poscia d'un frate che lo trasse alla riva. Fu solo più tardi, e forse nel
1544, epoca del suo primo matrimonio, che Bartolameo Cappello si divise dai fratelli, ed abbandonato il palazzo
di S. M. Mater Domini, si traslocò a S. Apollinare, ove gli nacque nel 1548 Bianca, incoronata nel 1579
Gran Duchessa di Toscana, e morta nel 1587.
In un palazzo al «Ponte di S. Maria Mater Domini», che, alquanti anni fa, era sede della
tipografia Cecchini, abitarono, per vario tempo, i due fratelli letterati Gasparo e Carlo Gozzi. Nelle
«Memorie inutili della vita di Carlo Gozzi scritte da lui medesimo e pubblicate per umiltà» si
parla a lungo di questo palazzo, fabbricato dalla sua famiglia nel 1550.
- S. Maria Nova
(Campo).
- La ex chiesa parrocchiale di S. Maria Nuova si crede fondata nel 971 dalla famiglia Borselli.
Il suo nome però data soltanto dal secolo XIII, mentre prima dicevasi di S. Maria Assunta, e forse
l'avrà acquistato dopo qualche ristauro. Caduta quasi d'improvviso nel 1535, si rialzò a spese del
suddiacono Nicolò Dal Negro, sul modello, come credesi, del Sansovino. Nel 1760 ebbe ristaurato il prospetto
dall'architetto Giovanni Vettori. Nel 1808 fu chiusa. Servì quindi ad uso di magazzino, ma nel 1853 venne
interamente demolita. Nel 6 dicembre di quell'anno, sul mezzogiorno, cadde gran parte della muraglia sopra i
manovali intenti all'opera, sicché rimasero quasi soffocate tre persone, una delle quali salvossi gettandosi
in acqua, e le altre offese andarono all'ospedale.
Trovasi negli «Annali» del Malipiero: «A 15 d'agosto» (1498) «è stato
restaurato dalle fondamente el campanil de Santa Maria Nova a spese di Nicolò Morosini piccolo q.
Giacomo, homo richissimo, che ha fatto trentasei case in contrà de S. Ternita, e le dà de
bando a nobili poveri».
Leggesi nel Barbo: «Adì 26 Aosto 1540, a hore 15, de Zuno, se impizzò fuogo in
la contrà de S. Maria Nuova in le caxe della d. gesia, nella qual iera piovan m.r pre' Bernardin
Gusmazi, et era una isola posta a mezo campo, et stava dentro due fratelli barbieri, li quali uno haveva
nome Anzoleto, et l'altro haveva nome Maximo. El fuogo entrò per via de algune stelle, et fu tanto
presto che non possono scapolar cosa alguna. El qual fogo fu posto per man d'una massera zovene, schiava, la
qual, per esser dal patron battuda, fece questo, et fuggì, et fu un gran danno del piovan».
In «Campo S. Maria Nova» è scolpita sul prospetto d'un palazzo, già
posseduto dalla patrizia famiglia Bembo, un'elegante nicchia di marmo, ove scorgesi collocato in piedi un
vecchio peloso tutto, e con barba, nel quale si volle forse effigiare Saturno, oppure il Tempo. Egli tiene con
ambe le mani due perni, a cui sta raccomandato il disco solare. Sotto la nicchia leggonsi le seguenti parole:
Dum Volvitur Iste Iad. Asc. Iustinop. Ver. Salamis Creta Iovis Testes Erunt Actor. Pa. Io. Se. Mo. Questa casa
era abitata nel secolo XVI da G. Matteo Bembo, inventore del motto, o dell'impresa surriferita. Voleva con essa
indicare che, finché il sole girerà intorno ai poli, le città di Zara («Iadera»),
Cattaro («Ascrivium»), Capodistria («Iustinopolis»), Verona («Verona»), Cipro
(«Salamis»), e Creta, culla di Giove, («Creta Iovis») faranno testimonianza delle di lui azioni
(«Actorum»). Le quattro ultime sigle sono poi i nomi di Paolo Iovio, o Giovio, e di Sebastiano Munstero,
che nelle loro istorie avevano fatto menzione delle intraprese del Bembo. Vedi Cicogna («Inscrizioni
ven.», vol. III).
Ci fa sapere il Codice 1620, Classe VII della Marciana, che il 13 giugno 1759 il «N. U. Dom.
Loredan de s. Antonio, da s. Vio, d'anni 26, spogliatosi della velada e camisiola di seda alla riva di Santa
Maria Nuova, si è gettato in canale, et annegato».
- S. Maria Zobenigo
(Parrocchia, Campo, Rio, Traghetto di).
- La chiesa di S. Maria Zobenigo trasse l'appellazione dalla
famiglia Iubanico, che, insieme ad altre, credesi circa l'anno 900, ne fu la fondatrice. Questa chiesa si dice
eziandio di S. Maria del Giglio, perché è dedicata al mistero dell'Annunziazione che suolsi esprimere
in pittura con la Beata Vergine e l'Arcangelo, innanzi ad essa, recante un giglio in mano. Bruciò tanto nel
976, quanto nel 1105. Parecchie volte in seguito venne ristaurata, ed una fra le altre circa al 1660 per opera dei
Contarini. Ma, sia che non ottenesse perfetto risarcimento, sia che si volesse darle nuova conformazione, certo
è che nel 1680 si prese a rifabbricarla dai fondamenti, ond'ebbe consecrazione nel 1700. Sopra il prospetto,
architettato dal Sardi, che costò ai Barbaro 30 mila ducati, si scorgono, fra gli altri fregi, le statue in
marmo di 5 individui di questa famiglia, e, con istravagante pensiero, le piante topografiche di Roma, Candia,
Padova, Corfù, Spalato, e Zara, scolpite sui pilastri delle colonne. Una di queste statue, cioè quella
d'Antonio Barbaro, venne guasta da una folgore, che colpì il prospetto l'8 luglio 1759. La chiesa di S. Maria
Zobenigo tornò ad essere ristaurata internamente nel 1833.
Pel suo campanile vedi Campanile (Calle del).
La parrocchia è antica quanto la chiesa. Nel 1810 venne ampliata con parte delle
parrocchie allora soppresse di S. Moisè, di Sant'Angelo, e San Maurizio, e con intero il circondario di
San Fantino.
Il muro di fortificazione, che, come abbiamo notato altrove, il doge Pietro Tribuno fece
costruire intorno al 906, giungeva dall'estremità d'Olivolo fino alla chiesa di Santa Maria Zobenigo, ove
gettavasi una catena all'opposta riva di San Gregorio per chiudere in tal guisa l'ingresso ai legni nemici.
Questa catena, secondo la cronaca attribuita al Tiepolo, tornossi a gettare all'epoca della guerra di Chioggia.
Nell'elenco degli allibrati all'estimo del Comune in parrocchia di Santa Maria Zobenigo, l'anno
1379, trovasi «Sier Michiel Sten». Egli era quel Michele Steno, patrizio, che, essendo intervenuto una
sera del 1355 ad una festa di ballo, datasi in palazzo del doge Marino Faliero, ed avendo fatto non si sa quale
scherzo indecente ad una damigella della dogaressa, o secondo altri, alla dogaressa medesima, venne per ordine
del Falier scacciato dalla sala. Desideroso perciò di vendetta, scrisse sopra la sedia del doge:
Marin Falier da la bela mujer,
Altri la gode, e lu la mantien!
Il Faliero, che forse avrebbe voluto vedere lo Steno condannato a morte, od a perpetua prigionia,
creduta lieve la pena inflittagli, congiurò di lavare nel sangue degli ottimati l'onta sofferta, ma venne
scoperto e decapitato. Lo Steno invece, giunto alla vecchiezza, si vide eletto doge alla sua volta nel 1400.
Il Sanudo, colla sua solita ingenuità, racconta all'anno 1517, 24 gennaio M.V.,
un'improntitudine giovanile commessa a Santa Maria Zobenigo, la quale però costò assai cara
all'autore di essa: «Accidit», scrive egli, «che uno bazarioto, vestito da vecchio, havea una cheba
con uno priapo dentro; stava benissimo, e l'andava mostrando a le done; hor a sancta Maria Zubenigo, par,
mostrandolo a certo balcon a una zovene, uno, che havea di quella interesse, vene fuora, et li dete d'un
fuseto, et morite. Era di età di anni 16».
All'anno poi 1519, 20 febbraio M. V., ricorda: «In questo zorno a Sancta Maria Zobenigo, sul
campo, fo fato una festa di caze di tori, et di uno orso con altri fuogi, auctor Domino Zuane Cosaza sta
lì. Vi fo assai persone. Etiam diti oratori Franzesi ussidi di Conseio andono a veder, et cazete un
soler, e rupe la gamba a... Zustinian di S. Hieronimo procurator, era su deto soler». Questo «Zuane
Cosaza» discendeva da nobilissima famiglia, del sangue imperiale dei Comneni, la quale aveva molte
possessioni nel Montenegro, da essa cedute nel secolo XV alla Repubblica, riportandone in cambio nel 1430 la
veneta nobiltà. Egli era capitano dei cavalleggeri, ed un'altra volta trovasi nominato nei «Diari»
del Sanudo, ove si racconta che il principe di Bisignano cenò il 13 gennaio 1521 M. V. «a casa di suo
barba ser Zuane Cosaza a Santa Maria Zobenigo».
In una casa del N. U. Pietro Morosini, posta in parrocchia di S. Maria Zobenigo, era passato ad
abitare nel 1582 dalla parrocchia di S. Martino l'architetto Antonio Da Ponte.
In «Campo di S. Maria Zobenigo» stanziò nel 1628 Ferdinando granduca di Toscana,
venuto col suo fratello D. Carlo, a visitare Venezia. Così dice il «Diario» del Luna (Classe VII,
Cod. 377 della Marciana): «Per la stantia gli fu parechiato uno pallazzo de cha Grimani a Santa Maria
Zubenigo, il quale è sora il Canal Grande, et fo fatto un foro per quelle case e pallazzi che sono
fin a presso de la chiesa di Santa Maria Zubenigo, et questo fu fatto per acomodar tutta la corte ch'era con
il Granduca» ecc.
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