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Toponomastica Veneziana - Z
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Zan del Verme (Calle) o del Squero a Castello.
Il Berlan ed il Zanotto attribuiscono la prima denominazione ad un Giovanni della patrizia famiglia Dal Verme, che si estinse nel 1485. Senonché noi non abbiamo alcuna notizia che tale famiglia abitasse, o possedesse stabili in parrocchia di S. Pietro di Castello, né sua per certo, come vorrebbe il Zanotto, è quell'arma che vedesi scolpita sopra il prossimo palazzino lombardesco, respiciente colla facciata la «Strada Nuova dei Giardini», mentre essa è quella di Costantin de Todero Marcorà, il quale lasciò questo stabile con altri alla Scuola di S. Rocco, mediante testamento 22 marzo 1538, in atti Antonio Marsilio. Per lo contrario, un'altra famiglia popolare dal Verme abitava nel secolo XVII nella suddetta parrocchia. I Necrologi del Magistrato alla Sanità hanno la seguente annotazione: «Adì 22 april 1617. Isabetta fia de m. Zuane dal Verme, calafà del Arsenal, de m. 7, da spasemo giorni 6 - S. Piero». Ecco probabilmente il Giovanni che diede il nome alla calle di cui parliamo. E vale a confermarci nella nostra opinione il considerare che nei catasti del secolo XVI non è giammai nominata la «Calle Zan del Verme», mentre la cominciamo a ritrovare soltanto nel catasto del 1661. Della famiglia Dal Verme domiciliata in parrocchia di S. Pietro di Castello, trovasi memoria anche nel necrologio del 1618, ove, sotto la data del 3 marzo, è registrata la seguente nota: «M. Z. Maria fio de m. Renaldo detto dal Vermo de anni 23, da febbre, giorni 8, il medico Gadaldini e Rovere - S. Piero de Castello».

Proviene la seconda denominazione da uno «squero», o cantiere privato, tuttora in questo sito esistente. Vedi Squero (Calle del).

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Zorzi o Bragadin (Fondamenta) a S. Vito.
V'abitavano nel 1740 il «N. U. Pietro Zorzi», allora in Reggimento, in una casa del «N. U. Zuane Emo uxorio nomine», ed il «N. U. Zuane Bragadin» in un'altra casa della «N. D. Faustina Querini Bragadin commissaria per testamento». Per la famiglia Zorzi vedi l'articolo antecedente, e per la Bragadin, Bragadin (Calle).

Questa Fondamenta chiamasi anche volgarmente dell'«Ospedaletto», perché tuttora v'esiste il piccolo ospizio per poveri eretto dai Procuratori di S. Marco «de ultra», giusta testamento 7 agosto 1320 di Marco Dalla Frescada. Vedi Frescada (Ponte ecc. della). Dai Procuratori l'ospitale venne rinnovato nel 1755. Allora, scavandosi la Fondamenta, ritrovossi lo stemma della famiglia Dalla Frescada, trasforato con contorno di foglie, e senza rovescio. Vedi il Codice Cicogna 612 col titolo: «Medaglie di uomini illustri ed altre del Museo Gradenigo a Santa Giustina di Venezia».

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Zaguri (Calle, Sottoportico) a S. Maurizio.
Vedi Corner Zaguri (Ponte, Fondamenta).

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Zambelli (Sottoportico e Calle) a S. Giacomo dall'Orio.
La famiglia Zambelli, che possedeva il vicino palazzo, venne da Padova, ove, secondo il Capellari, i suoi ascendenti erano mercadanti di «malvasia». Con questi ed altri negozii fattasi ricca, acquistò la cittadinanza originaria, e poi la veneta nobiltà nel 1648. I Zambelli notificarono nel 1740, oltre la casa dominicale di S. Giacomo dall'Orio, ed altre vicine, molte case in Padova con grandi possessioni nel Padovano. Si estinsero nel 1821.

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Zamboni (Calle) a S. Gregorio.
Questa calle, che sbocca sulla Fondamenta la quale costeggia il «Rio di S. Gregorio», ebbe il nome dalla cittadinesca famiglia Zamboni. Rilevasi da una sentenza del «Piovego» che fino dal 1260 un Giacomo Zambon aveva stabili confinanti col «Rio di S. Gregorio». E nel 1566 un Federico Zambon notificò varie case «in contrà de S. Gregorio, in Corte de ca' Zambon». Una cronaca di famiglie (Classe VII, Cod. 939 della Marciana), parlando dei «Zamboni da S. Gregorio», così si esprime: «Sono antiquissimi Venetiani, et hano fatto molte fabbriche in questa città, adoperati nelle cose pubbliche, et beneficiati da questa rep.» Apparteneva forse a tale famiglia anche quel sacerdote Giacomo Zamboni, il quale nel 1483 prestò ajuto a Maria Caroldo per fondare la chiesa ed il monastero dello Spirito Santo.

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Zaminghi (Calle) a S. Alvise.
Dalla famiglia Zaminghi, o Zamenghi. Qui nel 1805 il N. U. Francesco Belloni q. Giovanni appigionava una casa con orto a «Piero Zamenghi», ed altra ad «Ottavia Zamenghi».

Non lungi dalla «Calle Zaminghi», e quasi di faccia al «Ponte Turlona», sulla «Fondamenta del Rio della Sensa», al N. A. 3218, scorgesi il palazzo Michiel lombardesco, eretto nei primi anni del secolo XVI. Qui abitava Arnoldo Ferrier, ambasciatore francese alla Repubblica, ed allorquando nel 1574 Enrico III re di Francia e di Polonia venne a Venezia, avendo una domenica udito messa nella prossima chiesa di S. Alvise, si trasferì poscia a desinare nel palazzo dell'ambasciatore suddetto.

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Zanardi (Calle, Calle e Ramo, Ponte) a S. Caterina.
Presso il «Ponte Zanardi» sorge un palazzo posseduto anticamente dalla famiglia cittadinesca Rizzo, che poscia fu detta dalla Madonna dell'Orto per aversi trasportato in quella contrada. Lo stabile suddetto, con istrumento d'acquisto 30 luglio 1540, atti Bonifacio Solian, passò in Benedetto Ragazzoni; con istrumento 22 marzo 1624, atti Martino Renio, in G. Battista Combi; con istrumento 6 ottobre 1651, atti Girolamo Paganuzzi, in G. Domenico Biava; finalmente, con istrumento 14 giugno 1661, atti Angelo Maria Picini, in G. Andrea Zanardi. Questi, venuto dalla Bergamasca, «faceva» (dice il Codice 1809, Classe VII della Marciana) «il pesta spezie da quel dal Guanto, speciale all'Ascensione. Indi fu giovine di bottega, e poi giovine del negozio Polferini con il che arricchì molto la sua casa, e la fortuna il sollevò a sì fatta ricchezza che, esibendo lui ancora nel 1653, tempo della guerra di Candia, li soliti ducati centomila, co li suoi legittimi nipoti fu eletto nobile veneto, come da supplica e parte si vede. Questo Gio. Andrea morì con un piede sovra il letto, et il viso in una tazza da sputar sopra il terrazzo, dal detto al fatto». I Zanardi continuarono ad abitare a S. Caterina fino alla loro estinzione, avvenuta nel 1757, laonde una cronaca cittadinesca, compilata nel secolo decorso (Classe VII, Cod. 341 della Marciana) parlando del palazzo che possedevano, così si esprime: «Il qual palazzo situato dirimpetto del monastero di S. Catterina di là del Rio, serve tuttora di abitazione della famiglia Zanardi, e nel mezzo della sua facciata si comprende lo scudo che fu di ca' Ragazzoni, mentre tuttoché vi sia stato cangiato lo stemma, si vede però ancora il cimiero reale dell'Inghilterra, donato da Maria, regina di quel regno, e da D. Filippo di Spagna, suo consorte, a Giacomo Ragazzoni, qual è formato da un braccio di donna sopra l'elmo che esce da una corona, e tiene nella mano un elitropio, una rosa, ed un pomo granato». Lo stemma descritto scomparve nel raffazzonamento, o meglio deturpamento, che il palazzo subì ai nostri giorni.

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Zancana (Calle, Calle e Ponte) a S. Marziale.
Non già, come pensano il Dezan, ed il continuatore del Berlan, dalla famiglia Zancani, patrizia, estinta nel 1502, ma da quel «Zuane Zancan» che avea qui presso bottega da fruttajuolo nel 1713. Egli pagava affitto ai «convicini di S. Marziale», ed appunto sopra gli stabili prossimi alla «Calle Zancana» vi è ancora questa iscrizione: Caxe deli Convecini de S. Marziale. Al qual proposito noteremo come, ordinatasi la costruzione dei ponti di Venezia a spese delle contrade, quella di S. Marziale ammassò per tale oggetto danari non pochi, e quindi ebbe ad investirli per varii anni. Con questi redditi si fabbricarono alcune case, il cui ricavato destinossi a vantaggio della chiesa, ed in dotazione di donzelle. Il fondo era governato da quelli che aveano stabili in contrada, e tale società chiamavasi del «convicinato di S. Marziale».

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Zane (Calle) a S. Stin.
Molti stabili possedeva in questi contorni la patrizia famiglia Zane, alcuni dei quali guardano il rivo di S. Agostino, come quel palazzo, oggidì più conosciuto sotto il nome di Collalto. Vedi Collalto (Calle). Perciò alcune cronache, per indicare il sito delle case di Bajamonte Tiepolo, dicono che esse sorgevano «a S. Agostin, in faza ca' Zane, sul canton del rio». E nel libro «Presbyter» si legge che l'ultimo decembre del 1310 fu concesso ad Andrea Zane di poter fare un ponte «in rivo sancti Augustini ad suam possessionem, quam ibi habet, et ponere caput super terram vacuam comunis quae fuit olim Bajamontis Theupoli proditoris, faciendo illum ita altum sicut est alius pons sancti Augustini».

Sostengono alcuni cronisti che la famiglia Zane sia d'un medesimo sangue cogli Ziani. Ma altri, né senza buone ragioni, lo negano recisamente. Vogliono quest'ultimi che gli Zane venissero da Eraclea a Malamocco, e da Malamocco a Venezia nel secolo nono, ove coi vicini fabbricassero la chiesa di S. Maria Mater Domini. Senza dubbio fino dal secolo XIII abitavano in parrocchia di S. Stin, trovandosi nel Barbaro che Nicolò Zane da S. Stin venne eletto nel 1276 procuratore di S. Marco. Un Andrea Zane, detto Andriolo, difese Trevigi dagli Ungheri, e nel 1361 alloggiò nel suo palazzo, posto a S. Luca sulla «Riva del Carbon» (palazzo passato poscia in proprietà dei Corner dalla Piscopia, e quindi dei Loredan) la corte del Duca d'Austria, venuto a visitare Venezia. Un Lorenzo fu eletto nel 1476 patriarca di Grado. Un Paolo fu in quel secolo medesimo vescovo di Brescia. Un Jacopo fiorì nel 1576 come poeta volgare. Un Matteo, dopo rilevanti servigi prestati, salì nel 1601 al patriarcato di Venezia. Un Domenico finalmente, chiamato il Pericle della patria, si rese celebre nel 1658 per la sua eloquente e cauta ambasceria a Filippo IV re di Spagna, dal quale venne creato cavaliere, ed ebbe in dono l'arma di Castiglia.

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Zanetti (Corte) a S. Maria Mater Domini.
Racconta il Longo («Dei Veneti Cittadini originari» ecc.) che la famiglia Zanetti, tuttora qui domiciliata, provenne dalla Lombardia, e che anticamente apparteneva al Consiglio. Nulla di tutto ciò nei nostri cronisti. Le prime memorie che troviamo in Venezia di questa famiglia rimontano soltanto al secolo XVII, in cui da varii consorti comperò lo stabile situato in «Campo di S. Maria Mater Domini», che tuttora possiede, ed aprì una sottoposta bottega da merciaio, all'insegna del «Carro». Bensì, coll'andar del tempo, arricchitasi col traffico, venne ascritta alla cittadinanza originaria, ed ottenne la nobiltà del sacro Romano Impero, nonché parecchie altre onorificenze dai prìncipi d'Europa. La gloria maggiore dei Zanetti sta in Antonio Maria, nato nel 1706 da Alessandro e da Antonia Limonti, il quale Scrisse sulla «Pittura Veneziana», e sulle «Varie Pitture a fresco dei principali Maestri Veneziani». Girolamo, di lui fratello, nella prefazione al secondo degli accennati due lavori, così parla d'A. Maria: «Finì di vivere per fiera colica il 3 di Novembre del 1778, e fu sotterrato in S. Maria Mater Domini, ove dimorò poco meno che tutti i suoi giorni, nella sepoltura di famiglia con una breve ma non bugiarda iscrizione. Intese molto bene l'architettura e la prospettiva, e fu anche buon poeta, perito nella musica, versatissimo poi nella numismatica, e singolarmente nella cognizione di statue, cammei, gemme scolpite, et altri antichi lavori d'ogni genere. Fu di bell'aspetto, di giusta statura, d'ottimi costumi, amico fedele, talvolta alquanto più serio del dovere, d'animo forte, difficile per lo più col bel sesso, sobrio, e niente inclinato al guadagno. Assai di rado disegnò o dipinse per prezzo. Fu aggregato alle principali accademie d'Europa, e conosciuto da tutti i principali letterati del suo tempo. Un armadio che lasciò ripieno di diplomi, patenti, lettere ecc. ne può far fede». Anche Girolamo Zanetti, fratello d'A. Maria, fu autore di pregevoli scritti, fra cui va citato quello: «Dell'Origine di alcune Arti principali presso i Veneziani».

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Zappa (Corte) sulla «Fondamenta Ormesini» presso S. Girolamo.
Un «Zorzi q. Stefano de Galliera», detto «Zappa», nomina nel suo testamento, fatto in atti Bongiovanni de Brisariis il 2 settembre 1391, un ospizio che qui aveva cominciato ad erigere per sedici marinai, od altre oneste persone, ordinando che, qualora non fosse compiuto all'epoca della sua morte, si compisse colle sue rendite, ed istituendo suoi commissarii i Procuratori di S. Marco de «Citra». Giorgio Zappa era mercadante, possedeva molti beni a Castelfranco, ed aveva delle parenti maritate con patrizii. Egli dispose di venir sepolto ai Carmini nel sepolcro della sua famiglia.

La «Corte Zappa» era un tempo chiusa da muraglia, ed aveva una bella porta d'ingresso archiacuta. Entro l'arcata scorgevasi scolpito S. Giorgio in atto d'uccidere il dragone, in mezzo a due stemmi con leone diviso da fascia, superiormente ad uno dei quali stava una figura inginocchiata, che probabilmente voleva rappresentare Giorgio Zappa. Il disegno di tale scultura fu conservato dal Grevembroch ne' suoi «Monumenta Veneta» al Civico Museo. Nell'interno poi della «Corte Zappa» esiste tuttora un pozzo, avente sull'anello scolpite tre zappe.

Un'altra «Corte Zappa» esiste non lungi da S. Sebastiano per avviarsi al «Ponte dell'Avogaria» nell'antica parrocchia di «S. Basegio», o Basilio. Colà nel 1740 «Maddal.a rel.a Ipo. Zappa tutrice dei figli» teneva una casa per proprio uso; un'altra ne possedeva «Angela Zappa Sacchetto», ed una terza «Paolina Zappa», da esse però ad altre famiglie appigionate.

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Zattere (Fondamenta, Ponte delle) in faccia alla «Giudecca».
Rimonta all'8 febbraio 1519 M. V. il decreto di costruirle da S. Marta fino alla Dogana di Mare. Sono così appellate perché vi approdavano le zattere cariche di legname, ed abbiamo un decreto dell'anno 1640 col quale Giovanni Valier e Giuseppe Barbarigo, Provveditori alle Legne e Boschi, comandarono, in esecuzione della Parte del Consiglio dei X 23 luglio 1541, che tutti i conduttori di legname dovessero scaricarlo alla riva dello Spirito Santo, e non altrove. Alcuni vogliono che a questa fondamenta approdassero pure anticamente zattere cariche di carbone, laonde il canale che la divide dall'isola della Giudecca chiamavasi un tempo «Carbonaria». Le «Zattere», secondo le varie chiese e località a cui sono vicine, aggiungono al proprio varii altri nomi. Così abbiamo: «Fondamenta delle Zattere alli Saloni», «Fondamenta delle Zattere alli Gesuati».

Sulle «Zattere», in parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio, abitava quel patrizio Gaspare Valier, che volendo accrescere il proprio censo a mezzo di contrabbandi, e ritrovando un principale ostacolo alle sue frodi in Rocco maestro delle gabelle della città di Trevigi, lo stese morto sulla pubblica via. Perciò, con sentenza 19 maggio 1511, venne condannato a perdere la testa sul patibolo, il che successe il giorno 24 successivo, quantunque il patriarca Antonio Contarini, ed altri nobili personaggi cercassero ogni mezzo per salvargli la vita. Il Valier fu sotterrato ai Gesuati, come egli aveva prescritto nella sua disposizione testamentaria, con la quale lasciò, a titolo di risarcimento, una somma di denaro alla Signoria.

Sulle «Zattere», verso gli Ognissanti, v'era un teatro, ove nel 1679 si rappresentò il «Leandro», poesia di Camillo Badoer, musica di Francesco Antonio Pistochini.

Il Codice Cicogna 3255 racconta, all'anno 1680, d'una «giostra solennemente eseguita in Venezia sopra le Zattere dal Ponte Longo sino a S. Basegio, in congiuntura dell'ingresso di S. E. Alvise Dolfin, eletto Procurator di S. Marco de ultra, fu podestà di Brescia, et in situazione contigua al di lui palazzo, e quattro anni dopo li sponsali di Angelo suo nipote con Marietta di Piero Gradenigo».

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Zavater (Calle del) ai SS. Ermagora e Fortunato.
Nel 1713 in «Calle del Zavater», ai SS. Ermagora e Fortunato, la «sig. Giustina Campioni» possedeva «casa e bottega da zavatter», occupate da «G. B. Torre».

L'arte dei «Zavateri» (ciabattini) era unita a quella dei Calzolai, e con essi aveva altare dedicato a S. Aniano nella chiesa di S. Tomà, e luogo di riduzione nel prossimo campo. Vedi Callegheri (Ramo dei).

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Zecchini (Rio dei) alla Madonna dell'Orto.
La cittadinesca famiglia Girardi (che poscia, per eredità, aggiunse al proprio il cognome Zecchini) venne da Bergamo. I due fratelli Lorenzo e G. Antonio Girardi q. Francesco, coi due strumenti d'acquisto 7 decembre 1574 in atti Carlo Bianco, e 13 gennaio 1575 M. V. in atti Antonio Alchiero, comperarono, parte da Angelo e fratelli Lioncini fu Magno e parte da Girolamo Mazza fu Gasparo, il palazzo alla Madonna dell'Orto, la cui facciata archiacuta guarda il rio che perciò denominossi «dei Zecchini». Incominciarono in seguito a rifabbricare case, e tuttora l'arma di questa famiglia si può vedere scolpita nel peristilio e sopra l'anello del pozzo. Senonché, qualunque se ne fosse la causa, l'opera restò incompiuta, ed hassi memoria che i marmi accumulati per la riedificazione della facciata, andarono venduti dopo molti anni ai Pesaro, che facevano sorgere il loro palazzo di S. Eustachio. Questo della Madonna dell'Orto, unitamente a tutte le possessioni di Caerano sotto Bassano, in virtù del matrimonio contratto nel 1635 tra Valeria, figliuola di Laura Girardi Zecchini, e Benigno Benzi, venne a passare nei discendenti del medesimo coll'obbligo di chiamarsi Benzi Zecchini. Ancora ai nostri tempi scorgevansi in queste soglie due ritratti di S. Benigno Benzi, arcivescovo di Milano, morto circa l'anno 476; quello di Milano Benzi, canonico di Padova, e quindi vescovo della Canea, occupata la quale dai Turchi, fu da Innocenzo X nominato prefetto di Norcia, e commissario generale dell'armi pontificie; finalmente il ritratto di Marc'Antonio Benzi Zecchini, figlio di Benigno. In tale famiglia rimase il palazzo sino alla morte d'Elisabetta Casser, vedova di Michele, ultimo dei Benzi, la quale, colle disposizioni testamentarie 21 giugno 1828, e 16 marzo 1836, lasciò le sue facoltà alla Casa di Ricovero di Venezia, nella qual città venne a morte nel seguente anno 1837. Ora la magione descritta, notabile fra tutte le altre di Venezia perché l'acqua del prossimo canale s'introduce, per mezzo d'una cavana, nel cortile interno, e le gondole possono approdare appiedi delle scale, invoca un pronto ristauro.

Essendo tanto chiara ed accertata dalle cronache l'origine del nome attribuito al «Rio dei Zecchini», cade da per sé la supposizione d'alcuni che questo rivo venisse in tal guisa appellato per una zecca, altre volte stabilita ne' suoi contorni.

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Zen (Fondamenta) ai Gesuiti.
Il palazzo Zen ai Gesuiti sorse nel secolo XVI sull'area forse d'una fabbrica più antica, appartenente alla famiglia medesima. Esso è diviso in tre parti, e ne fu architetto il patrizio Francesco Zen, morto nel 1538. Pietro, padre di Francesco, che fu, sebben per poco, superstite al figlio, e che morì il 25 giugno 1539, così disse nel suo testamento: «Quanto veramente alle mie case che fabrico alli Crosechieri, voglio che le sieno compide al disegno fece il q. m. Francesco; sopra la fazza delle partition dentro et ornamenti faccia miei figli come li piase, e li laudo far l'opinion de m. Bastianello». Questi probabilmente è l'architetto Sebastiano Serlio, amico della famiglia. Ignorasi precisamente quando il palazzo Zen avesse il suo compimento, ma egli è certo che l'undici marzo 1553, in cui se ne fecero le divisioni, la parte verso ponente trovavasi tuttora imperfetta. Sopra i muri esterni del suddetto palazzo scorgevansi alcuni affreschi del Tintoretto e dello Schiavone, i quali, meno qualche languida traccia, sono del tutto cancellati.

Dei dipinti che qui operò lo Schiavone, così parla il Boschini nella sua «Carta del Navegar Pittoresco»:

Sul palazzo del nobile Signor,

Che ogni perfetta laude ghe convien,

Mio singular patron, Vicenzo Zen,

Homo nobile e nobile pitor;

Su la fazzada voi mo' dir se vede

Maniera tal che ha forza cusì granda

De quel Schiaon che a tuti da una banda

Convien restar, e ognun statue le crede.

O Dio! se qua no fusse per parer

Che de le statue volesse dir mal,

Diria che ste figure assae più val

De le statue che è a Roma in Belveder.

Il Capellari, appoggiato all'autorità d'alcuni scrittori alquanto invero sospetti, fa che la patrizia famiglia Zeno discenda dalla gente Fania di Roma, che produsse i due imperatori d'Oriente Zenone e Leone II. Giusta l'autore citato, un ramo di questa famiglia trasferissi a Padova, quindi a Burano, ove esercitò il potere tribunizio e finalmente a Venezia sotto il principato d'Angelo Partecipazio, o Badoaro. Renier Zen, spedito nel 1240 con quarantacinque galere contro i Zaratini ribelli, li ridusse ad obbedienza, e poscia riportò vittoria contro i Genovesi, cui ritornò a debellare dopoché nel 1252 venne assunto al soglio ducale. Egli morì nel 1268, e ritrovò in Andrea e Marco, suoi fratelli, due emuli del suo valore contro i nemici del nome Veneziano. Pietro Zeno, cognominato Dragone, fu eletto nel 1334 generale di cento galere contro i Turchi; nel 1337 pugnò contro gli Scaligeri; e nel 1344 conquistò Smirne. Senonché, mentre stava assistendo al divino sacrificio, celebrato dal legato del pontefice in ringraziamento della vittoria, cadde sotto i colpi degli infedeli che avevano ricuperato la piazza. Gloria ancor più grande acquistossi Carlo di lui figlio, la vita del quale ci venne descritta da Jacopo Zeno vescovo di Feltre. Se crediamo a questo biografo, Carlo andò nell'infanzia alla corte del papa, da cui ebbe in prebenda un canonicato della città di Patrasso. Quindi andò a Padova per frequentare l'Università, nel qual frattempo incontrò per via alcuni ribaldi, che lo lasciarono quasi morto, e dissipò nel giuoco quanto possedeva. Allora si diede all'armi per anni cinque finché ritornò a Venezia, e tosto dopo, per esortazione dei parenti, alla sua prebenda di Patrasso. Essendo questa città combattuta dai Turchi, lo Zeno nuovamente impugnò l'acciaro, ma ferito in uno scontro, e creduto morto, stava già per essere sepolto, quando diede segni di vita, ed in breve ripigliò le forze perdute. Ingraziatosi quindi Pietro Lusignano re di Cipro, venne adoperato in varii affari. In seguito, andò a Carlo imperatore, viaggiò in Alemagna, Francia ed Inghilterra, e finalmente si restituì a Patrasso. Perduto in pena d'un duello il proprio benefizio, e rinunziato a qualunque vincolo ecclesiastico, sposò una ricca donna di Chiarenza, rimasto vedovo della quale, passò in Venezia a seconde nozze, con una figlia di Marco Giustinian. Ma, dedicatosi al commercio, e partito nel 1370 da Venezia, dimorò per anni sette parte al Tanai, e parte a Costantinopoli, ove, con grande suo rischio, tentò la liberazione dell'imperatore Calojanni, tenuto in carcere dal figlio Andronico. Scoperto, fuggì sopra le galere venete, colle quali pervenuto a Tenedo nel 1377, persuase il comandante a cedere quell'isola ai Veneziani. Si vide, col progresso del tempo, eletto capitano dell'esercito terrestre contro il patriarca d'Aquileja, e nel 1379 fu spedito ad infestare la navigazione ai Genovesi, a cui predò ventitrè navigli. Egli nel 1380 ritornò a tempo per togliere la Repubblica all'imminente rovina quando i Genovesi, presa Chioggia, s'avanzavano verso Venezia. Tanti meriti però non valsero a salvarlo nel 1406 dalla prigionia per lo spazio d'un anno, e dalla perdita d'ogni uffizio, in pena, dicesi, d'aver accettato danaro dai Carraresi. Espiata la condanna, vuolsi che andasse in Palestina, facesse colà la conoscenza di Pietro, figlio del re di Scozia, ne fosse eletto cavaliere, rifiutasse l'offerta di parecchi principi d'assumere il comando delle loro truppe, e finalmente aiutasse nel ritorno Giano re di Cipro contro i Genovesi. Rimpatriato, menò moglie per la terza volta, diedesi alle lettere, e morì nell'8 maggio 1418. Egli ebbe due fratelli Nicolò ed Antonio che, equipaggiata una nave a proprie spese, si spinsero a settentrione dell'oceano Atlantico, e scopersero il Drogeo, ora detto Terra del Labrador, nell'America settentrionale con altre regioni. In onore di essi si pose recentemente una lapide sulla facciata del palazzo Zeno ai Gesuiti. La brevità che ci abbiamo prefisso non ci acconsente di parlare dei molti altri uomini illustri che produsse la famiglia Zeno sì nell'armi, come nella carriera civile ed ecclesiastica, arringo quest'ultimo in cui può vantare parecchi vescovi, ed un G. Battista cardinale, morto nel 1501. La famiglia suddetta dominò per molto tempo l'isola d'Andro nell'Arcipelago, i castelli di Monteverde e di Francavilla, nonché la terra di Montegranaro nella Marca. Diede il suo nome ad altre delle nostre vie, fra cui ad un Campiello e ad un Sottoportico ai Frari, prossimi ad un palazzo archiacuto, respiciente colla facciata il «Rio di S. Stin», da essa posseduto, ed abitato tuttora, ove forse, come abbiamo detto, ebbe stanza il famoso Carlo. Vedi S. Stin (Campo). Il Boschini, nelle sue «Minere», dopo aver parlato della chiesa di S. Stin, parla ancora di questo palazzo colle parole: «E poco distante dalla detta chiesa evvi la casa Zeno dipinta da Paolo Farinato, dove si veggono varie favole maltrattate dal tempo».

Uno degli Zeno, anch'egli per nome Carlo, oltre di aver ucciso Angelo di Franceschi, figlio di Girolamo, secretario del Senato, sparò un'archibugiata nel palazzo dei Frari contro Girolamo Surian, di cui aveva sposato la sorella, perché questi, dopo la di lei fuga dal marito, solito a batterla fieramente senza ragione, aveva dato alla medesima ricetto nella sua propria casa. Perciò Carlo venne decapitato il 29 marzo 1586.

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Zinelli (Sottoportico e Calle) a S. Simeon Grande.
La famiglia Zinelli è originaria da Odolo in Val Sabbia, territorio Bresciano. Un Federico Zinelli, colà nato nel 1659, venne giovanetto a Venezia, e da bella prima accasossi con un suo zio di nome Pietro, mercante di conterie e ferro in «Merceria», all'insegna del «Pomo Ingranà», il quale poscia trasportò il negozio nella sua abitazione situata in «Calle S. Antonio» (ora «Bembo») a S. Salvatore. Federico però, dopo il matrimonio contratto con Elisabetta Caldarolla, piantò casa a S. Silvestro, ed aprì per proprio conto una bottega da ferramenta sul «Ponte di Rialto», all'insegna della «Madonna». Rimasto coll'andar del tempo erede dello zio, che fino dal 1693 avevasi preparato il sepolcro con epigrafe in chiesa di S. Salvatore, comperò circa il 1728 un ampio casamento a S. Simeon Grande, in «Calle Lunga», laonde la Descrizione della contrada pel 1740 pone in quella situazione il «palazzo del sig. Federico Zinelli». Da Federico nacque Nicolò, e da Nicolò un altro Federico, che, circa il 1754, tornò ad abitare la casa dominicale di S. Salvatore. Egli era «negoziante in piazza singolarmente di carichi intieri per ponente, senza bottega». Colla moglie Elena Zuccato procreò Nicolò e Tiberio approvati cittadini originarii nel 1792, e nel 1793 aggregati alla nobiltà padovana, nobiltà confermata dal governo austriaco con sovrana risoluzione 1° agosto 1819. Nicolò, uno dei suddetti fratelli, ebbe dalla seconda moglie Laura Dolfin nel 1805 Federico Maria, eletto nel 1861 vescovo di Treviso, ed ora defunto.

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Zio (Sottoportico e Corte) a S. Pantaleone.
Della famiglia Zio da S. Pantaleone così parla il Codice 939, Classe VII, della Marciana: «Questi sono antiquissimi venetiani discesi da un s. Homobon Zio el qual del 1253 si trovava esser in Venetia nella contrà de S. Zuane de Rialto, et da lui sono discesi quelli sono al presente habitanti in contrà de S. Pantalon, in casa propria; et sono venuti da Franza». Una delle case di questa famiglia venne da essa venduta ad Orazio Dario, cittadino e notajo veneto, con istrumento 10 gennaio 1620 M. V. ove si legge che la medesima era posta «in contrà de S. Pantalon, qual ha la sua porta in corte detta de ca' Zio, et ha la sua fazzada che guarda sopra la strada che discorre a S. Pantalon, alli Tolentini, et altrove». Anche nell'occasione in cui Girolamo ed Alessandro Zio, figliuoli di Antonio, vennero il 15 giugno 1636 ammessi alla cittadinanza originaria, deposero i testimoni che questi due fratelli vivevano coi pro' delle loro case situate «a S. Pantalon in corte de cha Zio», e che era loro «zerman el vescovo de Vicenza». La famiglia di cui parliamo aveva pure in chiesa di S. Pantaleone il proprio sepolcro.

Una famiglia Zio, diversa per avventura dall'accennata, lasciò il suo nome al «Ramo del Zio» a Castello, presso S. Gioachino. Un «Francesco Zio q. Benetto», domiciliato a Castello, notificò nel 1514 case a S. Polo, e beni a Mazzorbo, ed alla Badia. Dice il Sansovino che questo Francesco Zio, o Giglio, «si dilettò molto della scultura e della pittura, nelle quali due professioni fece per lungo tempo conserva di rare et squisite cose». Per le rarità di tal genere, che in sua casa conservava, vedi la «Notizia d'opere di disegno che esistevano nella prima metà del secolo XVI», pubblicata ed illustrata per opera del Morelli. Francesco Zio era procuratore del monastero delle Vergini, nella chiesa delle quali venne sepolto coll'arma della famiglia sulla tomba, e con iscrizione riportata dal Cicogna. Aveva fatto testamento il 1° marzo 1523, in atti Francesco dal Pozzo..

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Zitelle (Calle, Fondamenta delle) alla Giudecca.
Benedetto Palmio, sacerdote della compagnia di Gesù, essendo venuto nel 1558 a predicare a Venezia, ed avendo scorto molte fanciulle povere esposte alle seduzioni del mondo, ne ricoverò parecchie in una casa nella parrocchia di S. Marziale. Nel 1561 fabbricossi a tale scopo un più spazioso edificio alla Giudecca con annesso oratorio, disegnato dal Palladio, e consecrato nel 1588 alla Presentazione di M. V. al Tempio. Il pio conservatorio, che si conosce sotto il nome delle Zitelle, conta anche attualmente parecchie ricoverate.

Nel 1764 sviluppossi grave incendio alle Zitelle, acceso da una figlia di Baldassare Pasqualigo non patrizio, inviperita per dilazione del promessole matrimonio.

Assistendo la sera del 23 gennaio 1597 M. V. Antonio ed Agostino Venier q. Stefano, unitamente a Nicolò Moro, figliuolo di Santo da S. Antonino, travestiti tutti, ad una festa presso il conservatorio delle Zitelle alla Giudecca, ed avendo avuto alcun lieve motivo di disgusto per parte di Pietro Mazzoleni, G. Maria Giunta, e Nicolò Crota, che, mascherati in bauta, colà pure con una donna si ritrovavano, loro tennero dietro, finita la festa, e gli assalirono con armi, restando ucciso nell'incontro Pietro Mazzoleni. Perciò il 15 febbraio 1597 M. V. furono proclamati a S. Marco ed a Rialto, e non comparsi, banditi il 6 aprile 1599.

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Zocchi (Sottoportico e Corte) presso la «Calle della Bissa», a S. Bartolammeo.
«G. Battista Zocchi sanser ordinario q. Piero» traslatò il 19 luglio 1674 da «Riosa Signorini et heredi del q. Lazaro stagerer habitante a Bressa» due case ed una bottega in parrocchia di S. Bartolammeo, in «Calle della Bissa». Traslatò pure il 10 aprile 1684 da «Andrea Zontini q. Zuane» un'altra bottega nel sito medesimo, pervenutagli per prelazione ottenuta all'«Uffizio dell'Esaminador», sopra strumento del giorno 8 aprile di quell'anno, in atti d'Orlando Grazioli N. V.

Gio. Batta. Zocchi, oltre di essere sensale, era mercante da droghe, e console della Religione di Malta. Dalla moglie Maria Evangelisti, sposata nel 1639, ebbe due figli, Gio. Pietro e G. Antonio, che, giusta il testamento del padre 9 ottobre 1699 in atti Francesco Simbeni, si divisero, fra gli altri beni, anche gli stabili in «Calle della Bissa». Da Gio. Pietro Zocchi nacque G. Battista, e da esso i cinque fratelli Pietro Maria, Andrea, Gio. Domenico, Alessandro e Sebastiano, i quali vennero il 18 giugno 1755 approvati cittadini originari. Si vede che allora la famiglia Zocchi continuava a possedere gli stabili in «Calle della Bissa», probabilmente coll'aggiunta di nuovi acquisti, poiché un testimonio citato all'«Avogaria» per deporre circa la condizione della famiglia medesima, di tal guisa ebbe ad esprimersi: «La famiglia è benestante; abita uno stabile di propria ragione, et ha molti altri stabili suoi in Calle della Bissa».

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Zoccolo (Corte, Ramo del) a «Castello», in «Quintavalle».
Sappiamo dai catasti che una famiglia «dal Zoccolo» possedeva stabili in parrocchia di S. Pietro di Castello nel secolo XVII.

Una famiglia così cognominata abitò pure presso la «Calle del Zoccolo» a S. Marziale.

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Zogia (Sottoportico, Corte della) a S. Giuliano.
E' incerto se ricordi una bottega all'insegna della «Zogia», oppure una famiglia così cognominata. Una famiglia Zogia, o Zoja, venuta dalle Contrade, abitava in Venezia fino dal 1390. Un Giovanni Zoja fece testamento nel 1467 in atti Fantin Saracco, ed un Alessandro Zoja fu eletto notajo veneto l'8 marzo 1506.

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Zon (Calle, Corte) a S. Giustina.
Da Perugia, ove chiamavasi Boncambi, venne a Venezia la famiglia Zon in tempi antichi. Il nuovo cognome le derivò da Uguccione, e corrottamente Cion, o Zon, suo ascendente. Essa ebbe nome cospicuo fra le cittadinesche, ed anzi un ramo fu ammesso al M. C. nel 1651, benché tosto vi mancasse. Gli stabili che questa famiglia tuttora possiede a Santa Giustina dipendono dal matrimonio che nel 1400 fece Michiele Zon con Lucrezia Dandolo (Cod. 341, Classe VII della Marciana). Questo Michiele fu molto accetto al papa Eugenio IV, che nel 1444 lo incaricò di mettere a disposizione della Repubblica otto galere armate a spese pontificie contro i Turchi. Eugenio IV nel 1449 lo elesse pure cavaliere e conte palatino. I Zon vantano inoltre un cardinale, più vescovi, ed un Cancellier Grande, di nome Angelo, che venne assunto a tal carica nel 1717.

Leggiamo sotto l'agosto 1658 nel Codice intitolato: «Infelice fine d'alcuni Nobili Veneti» (2947 della raccolta Cicogna): «S. Lorenzo Valier q. s. Z. Antonio in casa del cl.mo Zon a S. Giustina, volendo dar ad un servitor del Zon, da quello fu ammazzato».

Il ponte privato che mette a Ca' Zon e che, secondo i vari proprietari, dicevasi anticamente di Ca' Cima e poi di Ca' Zatta, era mirabile per la sottigliezza dell'arco, il più bello di tutta Venezia. Divenuto cadente, venne rifabbricato nel 1759, non essendosi però conservata del tutto la snellezza della prima struttura.

In «Corte Zon» a S. Giustina havvi un anello di pozzo rovescio, sopra il quale si leggono i frammenti d'antica iscrizione.

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Zorzi (Salizzada) a S. Severo.
Costeggia un palazzo architettato sullo stile della prima età dei Lombardi con marmoreo prospetto respiciente il rivo di S. Severo, il quale apparteneva alla patrizia famiglia Zorzi, proprietaria un tempo anche dell'altro vicino palazzo archiacuto. Vedi Arco (Calle dell') detta Bon.

Alcuni discendenti dagli antichi duchi di Moravia vennero, come vuolsi, in Italia nel 411 militando sotto le insegne dell'imperatore Onorio. Fermatisi in Pavia, comperarono varii castelli, ed assunsero il cognome di Giorgi, o Zorzi, da Giorgio, uno di loro, che ai tempi del vescovo S. Epifanio liberò Pavia da strettissimo assedio. La famiglia Zorzi, fuggendo dinanzi ad Attila, trasmigrò nelle nostre lagune l'anno 453, e diede opera con altre famiglie all'edificazione di Venezia. Vanta parecchi vescovi, un doge per nome Marino, eletto nel 1311, varii militari valorosi, e più d'un letterato di grido. Portava anticamente due insegne, l'una consistente in un leone nero rampante in campo d'oro, e l'altra in uno scudo scaccheggiato d'oro e vermiglio. Ma, dopoché nel 1250 Pietro Zorzi, reduce dall'aver resa tributaria alla Repubblica l'isola di Rodi, si volse a sottomettere Curzola, e, per incoraggiare le milizie, espose sopra un'asta un lino bianco tinto del suo sangue, in sostituzione del perduto stendardo, assunse per arma una fascia vermiglia in campo d'argento. Il Capellari, che annovera varii distinti personaggi di questo casato, senza però omettere quel Giovanni Zorzi bandito da Trevigi a cagione di molte scelleratezze e condannato nel 1492, per infrazione del bando, al taglio della lingua e d'una mano fra le colonne della «Piazzetta», dice che la famiglia di cui trattiamo possedè «il marchesato della Bondonizza, e fu signora del castello di Lamasac e di Caristo alli Dardanelli. Hebbe pure lungamente il dominio di Curzola sino che, resosi il posto geloso, gli fu dalla pubblica munificenza cambiato nella contea di Zumelle, detta volgarmente Mel, Castello e Podestaria di grande estimatione, posta nel Friuli tra Cividale e Feltre. In Venetia corrottamente si dice Zorzi, et con regia splendidezza edificò la chiesa di S. Benedetto et di S. Domenico, come tiene memorie illustri in molte altre, così dentro, come fuori di Venetia, e per contrassegno dalla stima in cui fu sempre tenuta questa casa, si trova che nella pace stipulata tra la Repubblica e Mehemet II, Imperatore de' Turchi, con capitoli espressi, fu conservato alla stessa il dominio del castello di Lamasac, o Lampsac, acquistato dal valore de' suoi maggiori, quale poi divenne preda dell'Ottomana voracità».

I Zorzi diedero il nome a parecchi sentieri della città.

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Zotte (Calle delle) a S. Felice.
Probabilmente dalla famiglia Zotta, o Zotti, che si trova aver abitato in questa contrada.

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Zotti (Calle, Ramo dei) a S. Samuele.
Da case che appartenevano alla «Scuola dei Zoti» (zoppi) sacra all'Annunziazione, sopra il prospetto delle quali, respiciente la «Salizzada di S. Samuel», scorgesi tuttora scolpito il celeste messaggero in atto d'annunziare alla Vergine il concepimento divino colle sottoposte parole: case della scola de la s.ma an.ta de poveri zotti a s. angielo restaur.te l'ano mdclxxxiii dei beni di scola.

La confraternita dell'Annunziazione, detta dei «Zoti», o zoppi, perché composta da uomini che avevano tale difetto, venne eretta nel 1392, e fino da quel tempo ottenne per le sue riduzioni dalla famiglia Morosini un oratorio posto in «Campo S. Angelo», e sacro a S. Gabriele Arcangelo. Questo oratorio era stato fondato dai Morosini fino dal 920. Nel 1530 ebbe una rifabbrica, ed oggidì appartiene al parroco «pro tempore» di S. Stefano, che dedicollo alla Annunziazione di M. Vergine ed a S. Michele. Gli Zoppi solevano andare ogni anno nel mese d'aprile a pranzo dai Contarini alla Carità, ove erano serviti a tavola dai nobili di casa. La loro scuola maritava figlie di confratelli, le quali, se nate dopo che erano stati aggregati, avevano in dote dieci ducati, se prima, cinque soltanto.

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Zucchero (Calle dello) sulle Zattere.
«Da Candia», dice il «Manuale ad uso del Forestiere», compilato dal Fontana, «traevano i Veneziani lo zucchero, ivi tenendo piantagioni e fabbriche, introdotte, come credesi, dai Saraceni. Si riporta dagli storici una legge del 13 agosto 1334, che imponeva il dazio del 5 per 100 sui vascelli che portavano in Venezia lo zucchero di Candia. Grande era il traffico fra noi del genere; oltre di spedirsene in copia a tutte le città d'Italia erano sempre nella capitale magazzini ripieni, donde ad una via delle Zattere il nome, che ancora sussiste, di Calle dello Zucchero. Le sole città Lombarde ritraevano zuccheri da Venezia per 85 mila zecchini all'anno».

Una «Corte del Zucchero», pell'istessa ragione così appellata, havvi anche a S. Barnaba.

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Zudìo (Calle del) sulla «Fondamenta degli Ormesini».
Questa calle, soggetta un tempo alla parrocchia dei SS. Ermagora e Fortunato, «vulgo» S. Marcuola, e non lontana dal «Ponte del Ghetto Nuovo», derivò l'appellazione da una spezieria all'insegna del «Zudio» (Giudeo, Ebreo) che qui esisteva nel secolo XVI. Un Bernardin Pencin diede in nota nel 1566 di possedere, fra gli altri suoi beni, «una bottega da spezier in contrà de S. Marcuola, sulla Fondamenta presso il Ghetto; tien in affitto M. Gabriel, ha l'insegna del Zudio», ed un Nicolò Rimondo così si espresse in occasione della redecima del 1582: «Habito in contrà di S. Marcuola, in calle del spicier dal Zudio».

Sulla «Fondamenta degli Ormesini», sopra una casa che fa angolo con la «Calle del Zudio», ammirasi un rimasuglio d'affresco del secolo XVI, rappresentante un uomo a cavallo, nonché, più sotto, incisa in pietra, una meridiana coll'anno 1566, la più antica forse di tal genere che abbiamo fra noi.

Mantenendo Vincenzo Redosin, «margariter», libidinosa tresca con Elisabetta Poli, d'anni 29, vedova, domiciliata in «Calle del Zudio», ed avendola colta la notte del 21 aprile 1761 fra gli amplessi d'un giovanotto da lui molto ben conosciuto, la uccise, quantunque fosse gravida, a colpi di coltello, per cui chiamato a discolparsi e non comparso, ebbe sentenza di bando il 22 maggio dell'anno medesimo.

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Zulian (Sottoportico e Corte) a S. Fosca.
Dal palazzo Zulian, che si specchia nel «Canal Grande», e che sorse nel secolo XVII probabilmente sopra l'area di casamento più antico, poiché era da S. Fosca quel «Marco Zulian», il quale nel 1120 fece costruire la chiesa ed il convento della Carità, e similmente erano da S. Fosca quel «sier Francesco», e quel «sier Polo Zulian», allibrati nel 1379 all'estimo del Comune. Il suddetto «Polo», o Paolo, soggetto notissimo per varie ambascierie, venne eletto nel 1382 duca di Candia, ma ricusò per modestia, e nel 1410 ebbe la dignità procuratoria. Andrea, suo nipote, tradusse Dione in Latino, e lasciò parecchie orazioni, laonde si trova celebrato dal Biondo nell'«Italia Illustrata». Altro Andrea Zulian difese valorosamente nel 1439 il Castel Vecchio di Verona dagli attacchi del generale Piccinino, che aveva sorpreso la città. Gloria più recente della patrizia famiglia Zulian, o Zuliani, che, da regione non bene determinata dai cronisti trasmigrò fra noi in tempi tanto antichi da produrre tribuni, fu il cav. Girolamo q. Giovanni, decesso nel 1795. Egli sostenne importantissime cariche, fu sollecito raccoglitore d'antichità, e si mostrò generoso mecenate dei letterati ed artisti, fra cui del grande Canova, che, in segno di gratitudine, gli fece regalo della sua «Psiche». Col testamento 2 agosto 1794, in atti Ruggero Mondini, lasciò il palazzo di S. Fosca ai Priuli dai SS. Gervasio e Protasio, e legò alla Marciana il famoso cammeo, rappresentante «Giove Egioco», da lui ritrovato in Efeso, durante la sua legazione di Costantinopoli.

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Zurlin.
Vedi Surlin.

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Zusto (Salizzada, Ramo Salizzada) a S. Giacomo dall'Orio.
L'Orsato, storico padovano, riferisce che la famiglia Giusto, o Zusto, si trasferì da Padova a Venezia nel 454. Ad epoca antica per certo rimonta il suo arrivo, essendoci noto che esercitò la podestà tribunizia. Essa cooperò alla fondazione di varie chiese di Venezia, e produsse quell'Almorò, che ottenne sopra i Bolognesi nel 1276 un segnalato trionfo. Questa famiglia, parte della quale, rimasta esclusa dal M. C. nel 1297, vi fu riassunta nel 1381, era padrona di tutte le botteghe del vecchio Fondaco dei Tedeschi; anzi si legge che, incendiato il medesimo, ne alienò al pubblico l'area affinché si costruisse il nuovo. I Zusto abitavano in parrocchia di S. Giacomo dall'Orio fino dal 1397, poiché un «Andrea Zusto» da S. Giacomo dall'Orio contribuì in quell'epoca prestiti allo Stato.

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