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Um homem genial e bom | Un Uomo Geniale e Buono
di Manuel Poppe - inviato il 09/03/2011 (letto 3620 volte - 2 commenti)

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Um homem genial e bom | Un Uomo Geniale e Buono
Version Portuguese    Vai alla traduzione italiana

Um homem genial e bom


Guardo, no meu gabinete de trabalho, esta obra maior de Aldo Zari.
Infelizmente, não vo-la posso mostrar em melhor imagem. Talvez um dia...

A morte do cônsul é o título concordado entre nós os dois –e homenagem a Geoffrey Firmin, o herói do extraordinário romance de Malcolm Lowry, Under The Volcano.

Aldo era um leitor insaciável, um melómano, um homem de cultura e, na abertura, curiosidade e disponibilidade, acompanhadas de entrega sensorial às coisas, um renascentista.

Também por isso, acossado pelo sentimento trágico da vida, que Unamuno descreveu superiormente.
Unamuno que Aldo leu, tal qual leu Sófocles, Ésquilo, Platão, os grandes russos, Dostoievski, um dos seus preferidos, Tolstoi; os grandes ingleses, Dickens, Hardy... e os contemporâneos, Thomas Mann, Proust, Gide, Hemingway, Scott Fitzgerald...

Naturalmente, todos os poetas clássicos italianos, Dante, Petrarca... todos os modernos italianos, Saba, Montale...

Aldo era um autodidacta genial.

Com ele aprendi de tudo um muito. Por exemplo: a conhecer Veneza e os seus pintores, a compreender Tiziano (um dos seus ídolos), a amar Giovanni Bellini.

Aprendi a conhecer e amar a Venezia povera, a dos sestieri populares, das osterie, La Vedova, Il Paradiso Perduto...

Ora, num dos muitos dias que passámos juntos, em Veneza, fomos almoçar a um pequeno restaurante, junto à ponte da Accademia e, pendurado da parede, dei com o óleo sem título - Aldo não intitulava nenhuma ou quase nenhuma obra -, que me deslumbrou.

Discorrendo sobre ele, veio-me a figura de Geoffrey Firmin, o torturado personagem de Lowry, e propus assim lhe chamássemos: A morte do cônsul, cuja violência e poesia Aldo parecia ter querido fixar na tela.

Under The Volcano era um dos seus romances preferidos, que exaltara, emocionara e apaixonara o homem, também como Geoffrey, alter ego de Lowry, flagelado pela angústia de raiz implantada bem fundo no capricho do absoluto, que ora vem, ora vai, se mostra e foge e na saudade do impossível amor perfeito.


Assim, acedeu em escrever, na parte detrás do quadro, o nome com que ficou.


Versione Italiana   TOP

Un Uomo Geniale e Buono

Traduzione dal Portoghese di Giovanna Gatteschi


Conservo nel mio studio, dove lavoro, questa importante opera di Aldo Zari.
Sfortunatamente, non posso mostrarvene un’immagine migliore. Magari un giorno...

La morte del console è il titolo che concordammo insieme, tra noi due, in omaggio a Geoffrey Firmin, l’eroe dello straordinario romanzo di Malcolm Lowry, Under The Volcano.

Aldo era un lettore insaziabile, un melomane, uomo di cultura e – per spirito di apertura, curiosità e disponibilità, uniti all’abbandono sensoriale per le cose – un rinascimentale.
E, anche per questo,assillato dal sentimento tragico della vita, descritto in modo eccelso da Unamuno.

Unamuno che Aldo lesse, proprio come lesse Sofocle, Eschilo, Platone, i grandi russi, Dostoevskij, uno dei suoi preferiti, Tolstoi; i grandi inglesi, Dickens, Hardy... E i contemporanei, Thomas Mann, Proust, Gide, Hemingway, Scott Fitzgerald... Naturalmente, tutti i poeti classici italiani, Dante, Petrarca... Tutti i moderni italiani, Saba, Montale...

Aldo era un autodidatta geniale.

Con lui imparai molto di tutto. Per esempio: a conoscere Venezia e i suoi pittori, a capire Tiziano (uno dei suoi idoli), ad amare Giovanni Bellini.

Imparai a conoscere e ad amare la Venezia povera, quella dei sestieri popolari, delle osterie, La Vedova, Il Paradiso Perduto...

Ebbene, in uno dei tanti giorni che trascorremmo insieme, a Venezia, eravano andati a pranzare in un ristorantino vicino al ponte dell’Accademia e, appeso alla parete, mi ritrovai di fronte un olio senza titolo – Aldo non intitolava nessuna, o quasi nessuna, delle sue opere – che mi colpì come una rivelazione.

Parlando di quel quadro, mi venne alla mente la figura di Geoffrey Firmin, il tormentato personaggio di Lowry, e così gli proposi di chiamarlo: "La Morte del Console", che Aldo sembrava aver voluto fissare sulla tela con tutta la sua violenza e poesia.

Under The Volcano era uno dei suoi romanzi preferiti, che lo aveva esaltato, emozionato e appassionato, proprio come Geoffrey, alter ego diLowry, flagellato dall’ansia ben radicata in profondità nel suo capriccio per l’assoluto, che ora viene, ora va, si mostra e rifugge nella nostalgia dell’amore perfetto e impossibile.

Così acconsentì a scrivere, sul retro del quadro, quel nome che gli restò.


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Commenti a questo articolo
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Inviato da: maria joão falcão (mariaj.falcao@hotmail.com)

Bravo.

Inviato il 10-03-2011 14:20
Sito web: http://falcaodejade.blogspot.com
Inviato da: Umberto Sartori

In una mattina soleggiata di Settembre, decidemmo di raggiungere la cengia di roccia che coronava una delle montagne sull'altro lato della valle, incorniciate dalla finestra della nostra camera nella Casa degli Artisti a Tenno.
Prima di salire sulla motocicletta, Aldo raccolse due prugne viola legate tra loro dai piccioli, cadute dal ramo ancora un poco acerbe, e le appese a una delle guaine dei freni anteriori.
Ce ne dimenticammo presto, avvinti dal paesaggio e dalle giravolte della strada in una molassa che scava e scala la parete Nord-Ovest del Garda. Fuori dalla gola un paio di paesini, poi una strada forestale che si sfinì in un sentiero.
Pur ancora tra gli alberi, dall'addolcimento del pendio si intuiva poco più su il pianoro calvo attorno alla meta rocciosa della nostra gita. Percorse a piedi poche centinaia di metri, sul limitare della radura scorgemmo una casa in pietra, con le imposte chiuse ma con qualche tavolo e panche all'ombra di una pergola.
Un luogo decisamente idilliaco, dove Aldo decise di attendere che io sfogassi il mio vigore di allora raggiungendo la base della cengia poco lontano, per scalare la piccola vetta come mi ero ripromesso di fare già da alcuni giorni.
Non era e non fu un percorso impegnativo: a quel tempo, pur non essendo un vero e proprio scalatore, correvo leggero sulle rocce non troppo impervie, spesso senza curarmi dei lunghi sentieri tratteggiati da sfregazzi di colore sulle pietre. Ebbi due poco piacevoli contrattempi: il primo si verificò mentre cercavo una via di discesa diversa da quella per la quale ero salito.
Da qualche minuto sentivo un tintinnare di campanella e girando un costone, su un percorso esposto e molto stretto, mi trovai di fronte una specie di capra di montagna che procedeva in direzione opposta alla mia sullo stesso gradino di pietra.
La sua corporatura e le corna puntute, assieme alla mia scarsa dimestichezza di cittadino con gli animali selvatici, fecero sì che mi producessi in un fulmineo dietrofront-e-via-di-corsa... Raggiunto un luogo che mi sembrava più sicuro in caso di attacco caprino, constatai che, pur senza corna puntute, la mia apparizione aveva suggerito analoga prudenza alla capra; tornata sui suoi passi potevo scorgerla ormai lontana inerpicarsi verso la cima lungo un altro degli innumerevoli tracciati che la sua specie scolpisce e rinnova in luoghi ben più ardui di quelli a me accessibili.
Il secondo contrattempo fu trovarmi in un cul-de-sac dopo una lunga e ripida discesa. Per uscirne, fui costretto ad attraversare un ginepraio di rododendri, tanto fitto e spesso che ci dovetti camminare sopra, tentando di bilanciarmi da tronco a tronco, con frequenti dolorose scivolate di stinchi e polpacci sulle aguzze pietre sottostanti, per via della subdola flessibilità di quelle piante.
Quando dopo un paio d'ore fui di ritorno, trovai Aldo curiosamente appollaiato in cima a una vecchia scala a pioli che stava appoggiata al fienile. Gli chiesi scherzosamente se aveva intenzione di farsi stilita, e lui mi rispose con tono preoccupato che, mentre esplorava i dintorni della casa, aveva scorto confusamente nella penombra di una piccola grotta un animale piuttosto grande; temendo si potesse trattare di un orso o di un grosso cane, si era ritirato velocemente. Pur non inseguito, aveva ritenuto più rassicurante attendermi in quella scomoda posizione.
Rinfrancati dall'essere in due, e muniti di un robusto bastone, ci affacciammo timidamente alla bocca della tana. Ne uscì, per nulla turbato e anzi socievole fino alle moine, un vecchio ariete. L'uomo lo aveva crudamente privato delle corna sontuose, delle quali restavano solo due gibbose callosità ma l'animale non sembrava essersela presa a male. L'assenza delle corna e la barba lunga e rada erano inframmezzate sul muso affilato dalle pupille rettangolari, che davano ai suoi occhi uno sguardo lontano, quasi ieratico, suggerendo nel complesso l'idea del volto di un asceta cinese o vietnamita. E come un ritirato dal mondo sembrava vivere l'animale, solo nella sua grotta nei pressi di una casa abbandonata.
Ci colmò di feste e di simpatia, comportandosi, pur con una certa qual sua solennità irrinunciabile, alla stregua di un cucciolo di cane. Fu largo di strusciamenti e leccate, e da parte nostra rispondemmo con carezze e vigorose grattate di schiena, ben sollevati dal non dover metterci alla prova nelle tecniche di difesa con il bastone... Per via di questa entusiastica intimità, il suo odore pertinace ci accompagnò per i restanti giorni del viaggio. Tre mesi dopo Aldo, che era stato il preferito nelle attenzioni dell'animale forse per via della sua barba assai più imponente della mia, si risolse a gettare i pantaloni di quel giorno, sui quali l'afrore non solo resisteva a reiterati lavaggi, ma sembrava minacciare di contagio irrimediabile anche tutti i capi di vestiario lavati in sua compagnia.
All'aria aperta e in pieno Sole, tuttavia, l'odore non ci sembrò un ostacolo insormontabile; con qualche battuta gioviale sulle ragioni dell'eremitaggio, ci rese forse ancora più disponibili a quella compassione che induce affetto verso gli animali... La socievolezza affettuosa del caprone fece rimpiangere di non aver portato una colazione al sacco, che avremmo potuto dividere con il nostro nuovo amico: ricordai allora le prugne appese alla moto e dissi ad Aldo che potevamo offrire quelle al capro, se ci avesse accompagnato per il tratto a piedi del nostro ritorno.
Questa cortesia doveva rientrare negli usi di ospitalità ovina, perché quando ci mettemmo in cammino l'ariete si avviò con noi, continuando a strusciarci con il naso e la sua barba odorosa e a passare tra le nostre gambe quasi volesse portarci a cavallo.
Quando fummo ad alcune decine di metri dalla motocicletta, improvvisamente si staccò da noi e ci precedette. Ci avvicinavamo al mezzo da dietro, ma lui andò dritto alle prugne che erano davanti, nascoste dal serbatoio, e le brucò con delicatezza ed evidente piacere. Poi si volse verso di noi, passò a raccogliere ancora due carezze e si avviò trotterellando verso la sua grotta, senza voltarsi indietro.

In quei giorni del Settembre 1984, vissuti assieme nella generosa ospitalità dei Cittadini di Tenno e di Riva del Garda, prese forma e pose basi durature l'amicizia fra Aldo e me. Ci piaceva ricordare che ne fu mallevadore un caprone eremita e gentile.

Inviato il 11-03-2011 10:51
 


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