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Il futuro della banchina delle Zattere - per come lo si può prevedere
di Umberto Sartori - inviato il 07/08/2003
Movimento prevedibile per la banchina portuale costruita da Zattere San Basilio al Ponte Longo, con ipotesi di recupero e immobilizzazione del troncone dopo il disastro.

L’onda non muove significativamente in orizzontale ciò che non galleggia, come la sabbia pesante della maggior parte dei fondali marini. Fanghi e limi come quelli della nostra laguna, però, si comportano diversamente, in quanto composti di particelle leggere e debolmente coese, che entrano in sospensione sotto azione dell’onda, divenendo partecipi del suo moto circolatorio verticale.
Risalendo, le particelle entrano nei sistemi di turbolenze superficiali, e possono giungere a riaderire al fondale anche lontanissimo dal luogo di origine.

Questo fa sì che alla base del muro di cemento attualmente in opera, il Mare sia in grado di scavare con la progressione indicata nel disegno, finendo col lasciare il muro stesso sospeso, privo di “botta”, cioè di appoggio alla terraferma sulla parete opposta al mare oltre che sulla base, ed esposto ai colpi di maglio andante e tornante dell’onda, nonché a risucchi e compressioni sempre più potenti con l’aumentare della cavità.

La gettata si troverà a essere aggettante, quindi in stato di tensione elastica, tenuta costantemente in vibrazione dalle onde. Il calcestruzzo armato è un composto disomogeneo pur se fortissimamente coeso. I ciotoli, la marna reidratata e il ferro che lo compongono, se posti in vibrazione, non potranno che tendere a disgregarsi, creando spazi vibratori di infiltrazione per l’acqua, quando non vere e proprie fratture, che consentiranno al mare di corrodere le sottili anime elastiche in ferro del getto, rendendolo fragile alla flessione.

Dai danni già visibili sulla superficie delle Zattere Marittima-Ponte Longo, ipotizzo che non siamo ancora giunti a questo punto, le fratture sulle pietre perpendicolari alla riva denunciano chiaramente il movimento di struttura, ma credo che siamo ancora nella fase in cui la lastra di cemento orizzontale si stà caricando del peso.

Non essendo partecipe dei suoi piani di progetto non sono in grado di sapere se quella struttura sarà in grado di reggere il carico del muro orizzontale quando avrà raggiunto il limite della propria flessibilità.

Se non cede di schianto come è anche possibile, il suo movimento solleciterà in particolare tre momenti in 6 punti:
il punto di infissione nel caranto dei pali di ancoraggio a monte;
i pali stessi;
il punto di innesto dei pali nella lastra orizzontale;
i due punti sulla lastra in sezione aurea della distanza fra l’innesto dei pali;
l’intersezione col muro verticale.

L’intero sistema rigido basato su angolo di 90° si trova a competere con due opposte spinte verso la sfera, o il cerchio, se lo vediamo in sezione, di chiara impostazione geodetica (angoli 30° e 60°). Queste spinte agiscono sulla struttura nei suoi punti modali in controtorsioni multiple, che aumenteranno la distruttività dell’attività vibratoria e percussiva di acqua e aria compressa.

Assisteremo quindi a una più o meno rallentata frantumazione della lastra orizzontale, seguita o preceduta dal distacco dal muro verticale e dai pali, che avranno nel frattempo segato il caranto o si saranno a loro volta spezzati.

Il muro verticale, libero dal vincolo, terminerà la sua rotazione e tenderà a disporsi orizzontale sul fondo.

Se invece la struttura muro verticale-lastra orizzontale sarà stata progettata con spessori e materiali in grado di farla resistere integra per un lungo tempo pur sottoposta a tremende sollecitazioni (i.e. tondino acciaio inox e cementi speciali), il sistema geodetico naturale tenderà a farla rotolare.

Assisteremo quindi al progressivo ribaltamento della struttura, finché il pesante muro verticale sarà divenuto il piede orizzontale. A quel punto la strutturà potrà essere ripresa e consolidata.

Se la struttura lastra-ora-verticale/muro-ora-piede-orizzontale sarà stata almeno costruita bene in sé (cosa molto improbabile, purtroppo), essa potrà venir consolidata in quella posizione per mezzo di una fitta sottopalificazione realizzata con cilindri verticali vuoti in pvc o altra resina resistente, anche se questa fosse moderatamente tossica ( non sono auspicabili forme biologiche microbicobatteriche, e possibilmente né alghe né particolari pesci, abbarbicati alle nostre sponde: loro hanno l’immenso mare, lascino la terra agli uomini. Le resine, la cui tossicità è per cessione, immerse nel fango, e quindi con pochissimo attrito, potrebbero al limite avvelenare i primi metri di fondale attorno a loro. Credo che così non sarebbe, che le forme marine sopravvivrebbero, ma anche così non fosse, non sarebbe che un allungare la vita dell’opera).

Poiché sul tratto di Zattere di cui parlo la lastra orizzontale di cemento era ampia parecchi metri, essa sporgerebbe ora dal piano di calpestio di almeno 1 o 2 metri. Potrebbe essere demolita parzialmente, lasciando sottili e distanti pilastri tra i quali tendere una leggera passerella permanente per la veduta panoramica e per l’acqua alta.

Se invece, come è più probabile, la struttura della lastra orizzontale sara stata fratturata, l’ex-muro orizzontale sottopalificato costituirà un ottimo piede per la nuova muratura di sponda.

Ma niente di tutto ciò ha possibilità di divenire reale, se non fermiamo lo zolfo che ci corrode e che non lascia alla nostra città, per come essa vale, più che pochi anni o decenni di sopravvivenza.

Non è lo zolfo dei motori: è lo zolfo dei demoni che divorano la città santa per la loro inappagabile avidità.
Perché lo zolfo uccide i pidocchi?
Perché essi ne mangiano e vi si rivoltolano, senza comprendere che è ad essi, soprattutto, che lo zolfo è destinato.
L’infinita intelligenza della Natura e di Dio sembrano averci serenamente riconosciuto il compito di autodisinfestarci e distruggere il nostro nido.
Le pietre sono per noi, per nostra consolazione, nulla contano per il Signore e la Natura quando non siano simbolo di dedizione e amore al buon fare: tra splendide rovine possono appostarsi serpi velenose, ma noi veneziani non lasceremo neppure rovine, solo fango in cui lentamente affonderanno due Megaliti di granito: avremo rubato al mondo anche quelli, dopo aver sciolto nello zolfo tutto il marmo.

I motori diverranno lontano ricordo, e così gli approdi, si scenderà nel fango e con esso si vivrà, non vi è ricchezza in questa palude che non venga dal commercio e dal mostrare: Veni Etiam ! Vieni anche tu, ma quanti accetteranno l’invito in una casa di fango?

Molti si affretteranno a dire: “ma noi sostituiremo i pezzi corrosi con altri nuovi, lo stiamo già facendo”.
Il come lo fanno mi dice che dovrebbe diventare abitudine quotidiana, sostituire integralmente la città ogni venti-trenta anni, ma le loro opere non durano tanto: lo zolfo è l’incanto di una fiamma, non la permanenza di una pietra, e gli attuali custodi, con coloro che li hanno incaricati, seguono i bisogni dello zolfo...

Quale sulfureo spirito avrà mai la pazienza e il sacrificio di riscolpire il poggiolo di Desdemona? E per quante volte in un secolo? Scivoleremo nella polvere e nel fango, le velme si muoveranno, e in un secolo di Venezia si ricorderà soltanto vagamente l’area, per i più essa sarà stata “da qualche parte, nell’alto Adriatico...”
Vermi di figli, mi dico che siamo, ma non ho pianto che poco, oggi.

Possiamo ancora farcela, uno scatto di reni da vogatore potrebbe far volare il nostro passarino fuori dalla rete che lo porterà a essere digerito, potremmo ancora tornare nel mare a stupire i bambini.

Veneziani, regrediamo uniti dall’intento suicida; non tiriamo il cordino che potrebbe far saltare l’intera civiltà occidentale. Venezia è più importante di quanto ognuno pensi.

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