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SUL FENOMENO DEI GRAFFITARI
di ENZO PEDROCCO - inviato il 02/01/2009
SUL FENOMENO DEI GRAFFITARI

“Adesso ho 28 anni esternamente e quasi 12 internamente.
Voglio restare sempre un dodicenne, dentro”
(Keith Haring , Diari – Oscar Mondadori)



I graffiti metropolitani, artistici o meno che li si voglia considerare, sono diventati, com’è noto, un'emergenza un po’ ovunque, oltre che per il danno estetico che in genere arrecano - soprattutto in città fortemente caratterizzate sotto il profilo architettonico – per il fatto che i Comuni, con bilanci spesso tutt’ altro che floridi, devono continuamente impiegare loro malgrado non pochi fondi per la loro eliminazione che impiegherebbero molto più volentieri, e con maggiore utilità, per la soluzione di altri problemi.

I graffitisti o graffitari, che dir si voglia, dalla loro prospettiva anarcoide e ribellista sono soliti obiettare, in proposito, che non è assolutamente un problema loro. E che quindi se ne occupi, se proprio lo vuole fare, chiunque ne abbia voglia senza, possibilmente, rompere loro le scatole. Oppure, dalla prospettiva dei più “moderati” fra essi, che si tratta di un’emergenza affatto ingiustificata in quanto i graffiti sono assai lungi dal poter arrecare il benché minimo danno estetico alle città : chè, in specie quelli dei loro più validi rappresentanti, non possono, semmai, che arricchirle e migliorarle in virtù della loro inequivocabile artisticità.

Mentre alla prima di queste obiezioni, puerile e insulsa, non mette conto rispondere, per quanto attiene invece la seconda – glissando caritatevolmente sull’ingenua convinzione, implicita in essa, della possibilità indiscriminata di una mera giustapposizione di elementi diversi ed eterogenei in qualsivoglia contesto urbano, a prescindere dalle sue caratteristiche storico-architettoniche – mi domando donde derivi ai graffitari la certezza sulla presunta inequivocabile artisticità delle loro opere in un clima culturale oltremodo complesso e problematico qual è il nostro, in cui non è dato sapere, fra le altre cose, che cosa sia a rigore l’arte, in quanto non si conosce cosa sia la realtà. E a decretare di volta in volta che cosa debba intendersi per arte, a dispetto di tutto ciò, è solitamente, in maniera assai discutibile e nient’affatto disinteressata, il solo e unico mercato.

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