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Strategia di lavoro per la Repubblica: due Secoli di calunnie contro Venezia | |
di Umberto Sartori - inviato il 23/04/2011 | |
La riabilitazione storica di Venezia come primo impegno della militanza repubblicana Preleva la versione in pdf di questo documentoDue secoli di calunnie contro la Repubblica di VeneziaDal punto di vista sociologico, il Centro Storico di Venezia e l’equilibrio idrostatico lagunare che ne permette l’esistenza, sono frutto e testimonianza di un antico sistema politico unitario, nel quale la Repubblica è sovrana tutrice anche di ogni bene personale. Convinto di questa gerarchia che vede il Bene Comune come fonte di ogni benessere del singolo, e volto allo scopo di costituirsi in Civiltà governata da eque leggi, il Popolo Veneziano ha dato all’Europa la più duratura, stabile e vincente forma di Repubblica che la Storia ricordi. Non è retorica ma Storia testimoniata dalle Opere, la fedeltà alla Repubblica delle conquistate coste Slave dall’Istria a Cattaro, o l’eroica resistenza all’invasore napoleonico di Bellunesi e Veronesi; ancora oggi i movimenti indipendentisti veneti, pur conflittuali fra loro, si accomunano nel vessillo di San Marco e nel nome di Venezia. La Repubblica Veneta conseguì il suo straordinario successo grazie alla concordia del suo Popolo e soprattutto alla sinergia fra sacerdoti e laicato che riuscì a realizzare. Una sinergia politica, commerciale e, all’estrema occorrenza, militare che fruttò a Venezia l’appellativo mondiale di “Serenissima” Repubblica. Non si deve pensare, come vorrebbe la superficialità moderna, che questo attributo “Serenissima” faccia riferimento all’amenità dei luoghi lagunari o all’incanto architettonico della Città. Queste qualità furono esaltate non tanto dai Veneziani stessi, che pure sempre le professarono apertamente, ma da intellettuali appartenenti a città indomitamente rivali come Padova, con Petrarca, o Firenze, con Dante e Guicciardini; o anche a Nazioni ostili e calunniatrici di Venezia come la Francia, con Paul Valery. Come mai allora la Repubblica di Venezia, quando non ignorata del tutto, viene presentata nelle enciclopedie e nella divulgazione storica come una “oligarchia tirannica”? Esaminiamo meglio la nascita di questa calunnia; decisamente Napoleone non depredò Venezia soltanto di oro e gioielli, egli volle vestire la sua Patria anche della paternità dei tesori sapienziali e politici della Repubblica Serenissima, e scaricare su di essa gli orrori e l’oscura tirannia instaurata dalla tanto declamata Rivoluzione Francese. La diffamazione in atto contro Venezia fu denunciata già nel tardo Ottocento dal Reverendo cattolico Reuben Parsons nel suo libro: “Some Lies and Errors of History”, D.D.; Notre Dame, Indiana; 1893 (vedi la traduzione italiana del Capitolo su Venezia). Il primo documento reperibile dell’infame campagna contro Venezia è un dramma teatrale: “Angelo”, di Victor Hugo, del 1835. Siamo abituati a conoscere il grande scrittore proprio per la sua abilità nel dipingere scene realisticamente suggestive e coinvolgenti, perché egli deve la sua fama appunto ai grandi romanzi, ma lo stesso non si può dire quando l’Autore scrive per il teatro. Bisogna anche sapere che il padre di Hugo è un generale bonapartista e che Victor cresce e si sviluppa nell’abbaglio socio-ideologico che gli illuministi tessono in Europa. Quando scrive per il teatro, lo Hugo repubblicano e populista, è perfettamente consapevole che la sua opera è destinata a un pubblico di monarchici. È noto che il movimento repubblicano del suo tempo, vicino all’ala pagana del neo-classicismo, fu fieramente avverso agli artisti romantici come Hugo, le cui opere erano invece supportate dai nostalgici del Re e dello spiritismo. Diffamando una Repubblica gloriosa come Venezia, Victor Hugo sà di strappare qualche punto di pubblico e di successo in palcoscenico al più fortunato rivale di scena Alexandre Dumas. Per questa ragione sono costretto a dedicare tanto spazio a questo melodramma morboso. Tra le opere di calunnia contro Venezia, l’”Angelo” di Hugo è infatti l’unica che si fregi di attingere a un “documento storico”, al quale le successive riferiscono più o meno direttamente. Si tratta di un quaderno, intitolato “Statuti degli Inquisitori Veneti”, la cui puerile falsità è dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio dal rev. Reuben Parsons nell'opera citata. Tale apocrifo sarebbe stato rinvenuto, sommariamente cucito in coda a un’opera di fra’ Paolo Sarpi, da un certo conte Daru, ufficiale tra gli incaricati della razzia Napoleonica che asportò, scartò e smembrò l’Archivio del Consiglio dei Dieci. Ben lungi dall’esercitare potere di morte segreta e subdola, il Consiglio dei Dieci era sottoposto al controllo diretto di altre tre Magistrature che partecipavano e presiedevano le sue sedute: - il Doge innanzittutto, che aveva diritto e facoltà di partecipare alle Sedute. - i sei Membri del Minor Consiglio, che erano tenuti a partecipare, con incarico a turno di presiedere il Consiglio dei Dieci. - l’Avogaria da Comun, con il compito di controllare che il Consiglio dei Dieci non deliberasse o agisse in contrasto con le Leggi della Repubblica. Ciascuna di queste Magistrature teneva archivi accurati anche delle proprie attività nel Consiglio dei Dieci, e questi archivi non furono sottratti e manipolati dai napoleonici. Da essi appare evidente l’incompatibilità, con le Leggi e la prassi consolidate nell’Amministrazione Veneziana, degli "Statuti" prodotti dal conte Daru a uso e consumo della propaganda del suo regime. Sappiamo, per esempio, che il Consiglio dei Dieci aveva sì potere di proporre condanne a morte, ma queste condanne, per divenire esecutive, dovevano venir ratificate dal Maggior Consiglio. Già nel Rinascimento il Maggior Consiglio, e il Senato da quello prodotto, si componevano di oltre 1600 Membri, il che significa che circa un Cittadino su 82 era Senatore. L’intero apparato amministrativo era rigorosamente impostato a impedire l’instaurazione di dinastie al potere, sulla rotazione semestrale o annuale delle cariche di governo del Territorio, sulla contumacia e sull’incompatibilità delle stesse. Se i Dieci avevano incarico annuale, i Consiglieri Ducali del Minor Consiglio non potevano durare in carica più di sei mesi. Forse non a tutti è noto cosa si intenda per “contumacia” rispetto alle cariche: per i Veneziani significava l’impossibilità, per chi avesse ricoperto una certa carica, non solo di esservi rieletto prima che fosse trascorso un periodo di tempo più lungo rispetto a quello passato in carica ma, per lo stesso periodo, anche di accedere a cariche che in una qualsiasi maniera lo portassero in contatto diretto con la Magistratura in cui aveva ricoperto la carica. Quale mente ragionevole, a fronte di questi dati di fatto, che invito ad approfondire nell’Opera del Direttore dell’Archivio di Stato di Venezia Andrea da Mosto, può ancora sostenere l’accusa di “oligarchia oscura e tirannica” che il mondo enciclopedico e quello della divulgazione che a esso si informa, ancora attribuiscono alla Repubblica di Venezia? Il diffondersi di questa calunnia fu però coagente allo spandersi nel mondo di un nuovo e più sleale nemico, per la Politica Repubblicana, di quanto lo fossero stati i Monarchi laici e Cattolici. Si tratta dell’ateismo illuminista che era ed è pervaso, dietro la parvenza degli ideali e delle “buone azioni” depredata nel Cristianesimo e nell’esperienza Repubblicana di Venezia, da quel nichilismo autodistruttivo che vede forse i suoi ultimi deleteri effetti, oltre che nel materialismo marxista-leninista, nella catastrofe morale ed economica del consumismo moderno. Quella nascente e funesta ideologia non poteva che avere in ubbia la religiosa Repubblica di Venezia, “Città Christianissima”. Dal tempo di Diderot ai nostri giorni l’illuminismo non ha cessato di produrre enciclopedie, al fine di sostituire la Religione con il culto della “conoscenza umana”. Una conoscenza che, nella accezione tomistica in cui l’illuminismo la tiene, diviene sempre più parcellizzata e avulsa da una visione organica del mondo, sempre più simile, quindi, a una superstizione. L’illuminismo assorbì e diffuse, infatti, le palesi calunnie dei Napoleonici e la fosca visione onirica di Hugo, accreditandole come Storia nelle opere enciclopediche e permettendo che a queste si abbeverassero innumerevoli altre opere di fantasia o pseudostoria. Tra queste è opportuno ricordare “il Fornaretto di Venezia”, del drammaturgo mazziniano Dall’Ongaro, opera di fantasia falsificata come dramma storico, che dal successo nei teatri passò a quello nell’illustrazione popolare e nei libri, poi nel cinema e quindi nella televisione, divulgando un’immagine di Venezia ingiusta e infame. Pompeo Molmenti e Giuseppe Tassini già all’epoca contestarono l’inconsistenza delle basi archivistiche e storiche cui si appellava il Dall’Ongaro. Persino Luigi Pirandello prende a spunto l’inconsistenza della leggenda del Fornaretto per una lunga riflessione in merito all’”Uno Nessuno e Centomila”. Dotti disquisitori e archivisti hanno messo in evidenza, nel Secolo scorso (Alessandro Luzio) e ai giorni nostri (Sonia Radi) che l’immagine di Venezia ricavabile dall’opera fantasiosa di Dall’Ongaro è comunque quella di una Repubblica saggia capace di ammettere i suoi errori. Forse il mazziniano Dall’Ongaro voleva in cuor suo glorificare la passata Repubblica, ma in tal caso non possiamo certo dire che riuscisse nell’intento: costruì anzi una delle icone mondiali più note ed efficaci al mantenimento delle calunnie inventate dal Daru e dallo Hugo a danno di Venezia. La fama e il prestigio che il Governo Veneziano godette per tutti i Secoli precedenti al dramma di Hugo e alla patetica invenzione di Dall’Ongaro, e che ancora gode presso i cultori della Politica, sono stati enunciati in: “Storia Morale di Venezia”. Nonostante la caduta dell’indipendenza e l’invigliacchimento del Popolo, le strutture repubblicane e religiose della Serenissima rimangono talmente forti e radicate nei luoghi e negli uomini, che Venezia e la tutela del suo Territorio si mantengono pressocché intatte per quasi due secoli di occupazioni straniere. Ciò poté fare perché aliena da quelle fazioni che sempre dilaniarono i cuori delle città Stato italiche, tanto quanto immune dagli effetti della decadenza dinastica negli altri regni e imperi. È dato di fatto che, unico fra i grandi Centri Storici della Penisola, Venezia ancora mostra sé stessa nella forma armonica alla Natura che la sua Repubblica le diede e che sola consente la sua sopravvivenza. La barbarie moderna ha sì da tempo infiltrato, e gravemente, anche questa città, ma ancora non è riuscita a snaturarne il volto come è accaduto a Roma, Firenze, Milano, Palermo, Genova e a quanti altri Centri sono stati rilevanti nella Storia d’Italia. Se Venezia non può essere snaturata, le sue grandiose testimonianze possono però venir distrutte attraverso la corruzione dall’interno delle Opere che la costituiscono e di quelle destinate a renderne possibile l’esistenza, come il governo sapiente dei fiumi e delle maree. Come questa corruzione proceda, e quanto grave sia il danno che già ha arrecato alla sopravvivenza di Venezia, è stato illustrato in “Storia Morale di Venezia” e nelle sue Appendici. Ci basti qui ricordare che in questi nostri decenni essa combatte per non essere cancellata dalla geografia fisica. Incapaci di stravolgere le sue forme, nonostante i molti tentativi perpetrati da ogni dominazione straniera, i barbari odierni stanno infatti ottenendo di farla integralmente divorare dal Mare (vedi: Relazione sui Flussi di Marea in Laguna di Venezia, 2009 e il Documentario 2010). I partiti hanno da tempo avviato campagne mondiali di copertura dei loro sistematici e colpevoli errori, la più famosa delle quali è senz’altro quella del “pericolo” dell’acqua alta. Con il penetrare nei più reconditi angoli delle nostre fognature e lo stendere un sottile velo di sale su ogni strada e ogni scuro anfratto di questa città, l’Aqua Alta ha svolto e svolge ruolo determinante, nel proteggere l’igiene pubblica dagli effetti nocivi di una vita nella palude, in una città resa labirintica dal rispetto architettonico e ingegneristico osservato verso le strutture frattali del suo Territorio. I Veneziani non hanno mai protestato o invocato misure per contrastare l’acqua alta. Anzi hanno sempre protetto la libera espansione di marea con leggi severissime e dichiarate come irrinunciabili a tutta la posterità. Venezia è però purtroppo da decenni in mani ormai pressocché barbare, e queste mani non nutrono più alcun rispetto per Coloro che costruirono la città e ne enunciarono le regole imprescindibili. Dopo Napoleone che la umiliò in toto e in ciascuna sua parte, gli Austro-Ungarici conservarono una forma di rispetto per le antiche e immutabili leggi del Territorio, ma vollero ricondurre il Popolo pioniere della Democrazia Repubblicana nell’angusta e fatiscente struttura del Sacro Romano Impero. Tralasciando qui i danni territoriali che arrecarono, il Regno d’Italia e la sua pavida estensione nella dittatura Mussoliniana, furono consapevoli della propria pochezza e arretratezza a confronto del modello di Stato che Venezia rappresenta. D’altro canto la città era un gioiello troppo appetibile per quel regno puerile e neghittoso, che non poteva rinunciare a sfoggiarlo sul palcoscenico del prestigio internazionale, né a usarlo come mito unificante degli Italiani, come fece soprattutto in occasione della Prima Guerra Mondiale. Questo scopo fu perseguito sia a livello nazionale che internazionale: - a livello nazionale l’Istruzione obbligatoria statale stampò nel Popolo versioni alterate della Storia, nelle quali l’immagine di Venezia veniva ridotta all’avventura marinara di una piccola Repubblica di navigatori appassionati d’arte. - a livello internazionale, ma con effetto anche interno, il Regno d’Italia cominciò a diffondere quella che ancora oggi è l’immagine stereotipa di Venezia: città “incantevole”, “magica”, “fantastica”, “evanescente” “fuori da ogni contesto”: fuori, sempre un poco, anche dal mondo reale... Una diffamazione ancora più astrusa e letteraria fu messa in scena, per il pubblico più erudito, dal movimento Futurista, e volle fare di Venezia l’emblema del male storico, del ristagno, della decadenza, con la metafora di Marinetti sulla “poltrona a dondolo per imbecilli” e sul “passatismo”. Giusto contrappasso, riceve oggi quel poeta “futurista” dall’essere presente, soprattutto, nella memoria dei “nostalgici” dell’ancien régime, ovvero del passato. Intento evidente di queste campagne precisamente “mistificatorie”, avviate dal Regno d’Italia e ancora in atto, è distaccare il messaggio civile e repubblicano, tramandato nelle pietre Veneziane, dalla realtà presente, dalla politica soprattutto. I Cittadini impegnati nella tutela della Repubblica dovranno quindi mettere grande impegno nel rettificare questi indottrinamenti capziosi e ribadire in ogni occasione comunicativa che: non per incanto, non per magia nacque e può risorgere Venezia, ma dall’Opera sapiente e coraggiosa d’uomini. La riabilitazione storica della struttura Repubblicana di Venezia è la prima indicazione strategica che l’esperienza del Comitato di Salute Pubblica lancia al Popolo e ai singoli Cittadini. Questo deve essere un obbligo d’istruzione, sia per la Repubblica Italiana sia per ciascun Cittadino che sinceramente si voglia repubblicano. Eppure la finzione storica, avviata dai sabaudi a fianco della demonizzazione delle lingue locali, è passata in blocco nella neonata Repubblica: ancora più dei “regnanti”, i nuovi “governanti” temono il paragone e l’esempio politico della Serenissima Repubblica. Organo di sorveglianza democratica, si badi bene, non oligarchia tirannica come si è sempre ancora tentati di pensare: si ricordi che i Consiglieri duravano in carica soltanto un anno. Il Consiglio dei X vigilava, discretamente ed esplicitamente, ogni andito della società civile perché non vi potessero prendere piede ideologie, comportamenti o associazioni capaci di arrecare danno alla Repubblica e al Bene Comune del Popolo. Aspetto assai rilevante di questo compito era identificare e neutralizzare sul nascere ogni seme di “partito politico”, meglio noto allora come “congiura contro la Repubblica”. Nonostante i rapporti turbolenti, Venezia ha più volte salvato il Pontificato Romano, basti ricordare quando il Clero Veneto rese possibile l’elezione del nuovo Pontefice, mentre Roma era occupata dall’orda Napoleonica. La costante volontà veneziana di rappacificazione con la Compagine Cattolica Romana è documentata persino da un sacerdote e storico Cattolico, il Rev. Reuben Parsons, nel suo già citato libro: “Some Lies and Errors of History” (vedi traduzione italiana). Ma la monarchica e sempre più obsoleta Chiesa Romana non seppe spendere altra più ufficiale parola affinché nella nascente Repubblica Italiana venissero salvaguardati l’insegnamento, il prestigio e la profonda cristianità delle Istituzioni politiche Veneziane. Fin dalla sua nascita, la Repubblica Italiana è costretta a subire “governanti” già infettati da partiti e da immoralità religiose ed elettorali, non diversamente da quanto avvenne per il Regno d’Italia ma in forma ancora più grave. Le calunnie contro Venezia sono tuttavia oggi prossime a cadere del tutto, grazie alla comunicazione globale e alle tecniche di validazione e organizzazione dei dati introdotte dall’Informatica. La schizofrenia partitica tenta allora di cancellare fisicamente la testimonianza Repubblicana di Venezia, per continuare, fino allo sfacelo totale della Civiltà, a esaltare in sua vece il potere distruttivo della propria inetta faziosità. Il disastro, manifesto nelle legiferazioni barbare, può avvenire nell’inerzia di questa maggioranza solo per lo smarrimento del senso di dignità Cittadina e Nazionale, generato dalla sudditanza psicologica alle pessime abitudini partitiche e oclocratiche, prima fra tutte il lavaggio massificato del cervello. Le forme mentali grette e ottuse, l’indebolimento del Buon Senso Comune che l’abitudine al lavaggio mentale e mnemonico promuove e induce, fanno sì che si assista, oggi e in tempo reale, allo scenario di quando la perdita di dignità civile arriva al suo culmine di cancellazione di una Patria. Noi vogliamo che il Popolo si aiuti a fermare questa devastazione fisica e morale, per invertire il processo autodistruttivo in atto. Venezia insegna ancora oggi di un vivere d’uomini più degno e solidale: democrazia aristocratica significa un Popolo non solo governato dagli eccellenti nelle virtù, ma in sé composto e determinato da uomini moderni, consapevoli del proprio valore di Cittadini Repubblicani. |
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