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Il Sindaco a Venezia non basta - è necessaria una scelta di funzione
di Umberto Sartory - inviato il 23/12/2003
Convengo ampiamente con gli auguri espressi da Elbaso, ma voglio aggiungervi alcune riflessioni.
Venezia ha senza dubbio bisogno, per sopravvivere, di un colpo di barra deciso. Le serve un gruppo di persone in massimo grado affidabili per moralità, competenza, consapevolezza globale e operatività locale. Uomini con una formazione informatica, e non per essere “a la page”, bensì in quanto l’informatica è la scienza del ridurre al semplice per amministrare il complesso; a essa è inerente una forma mentis progettuale, programmativa e pragmatica che si applica a qualsiasi campo, quindi anche alle nostre calli e fondamente...:-)

Al Gentil Sesso che legge, voglio chiarire che uso il termine ''uomini'' non nel senso di maschi, ma in quello di esseri umani. Cittadini dunque, competenti non soltanto in un’area specifica, ma dotati di versatilità ed eclettismo, capaci di intendere il linguaggio scientifico come quello umanistico e finanziario, amanti dell’Arte e capaci di valutarne le implicazioni sociali ed economiche.
Capaci soprattutto, nella nostra città, di valutare con sensibilità artistica e comprensione tecnologica, i grandi lavori pubblici che si rendono attualmente necessari affinché essa mantenga la speranza di sopravvivere quale centro edificato.
Di siffatti individui si compone il Comitato di Salute Pubblica a Venezia, e la prova delle loro molteplici abilità nel lavoro di squadra, nonché della dedizione alla causa di Venezia si può riscontrare proprio in questo sito veniceXplorer.net e negli altri collegati dalla rete ombra.net; per ricordarne alcuni:artit.netOurVenice.orghotels-in-venice.info.
Siti che, come Venezia ObServer su cui scriviamo, sono stati ideati, finanziati, realizzati e portati al successo di utenza da membri del Comitato.
Siamo, per chi ci conosce personalmente, persone di indubitabile onestà morale e intellettuale, aliene da appartenenze che non siano quelle delle arti e scienze in cui siamo versati e del pensiero liberale nella sua accezione più pura, astratta e pragmatica assieme.
È su questo assunto per noi imprescindibile che il mio pensiero tecnicamente diverge dagli auguri formulati da Elbaso. Ovvero sulla figura del sindaco, alla quale, nella presente situazione cittadina, non vedo possibilità alcuna di reintegrare l’iniziale maiuscola.
Se concordiamo infatti sul diritto di imputare la responsabilità del malcostume dilagante agli amministratori eletti in rappresentanza del Popolo, non possiamo però tralasciare il fatto che essi abbiano effettivamente da quest’ultimo ottenuto mandato.
Trattandosi di elettori, e quindi di cittadini in età matura, l’eventuale ingenuità nella scelta non può essere, a mio modo di vedere, una sostanziale esimente; del resto, non sono punto disponibile a riconoscere questa ingenuità.
Vedo anzi una chiara complicità tra le varie tribù sociali e i loro attuali rappresentanti. Di fatto questo popolo non sembra cercare Tutori del Bene Comune, ma gladiatori da mandare nell’arena a conquistare privilegi per la categoria che li supporta.
Continuando ad affidarci a questo andazzo, e alle dinamiche che ne determinano le scelte, non sarà mai possibile ottenere un Sindaco super partes, ma soltanto uno inter (quando non sub) partes.
Anche se uno dei nostri uomini nuovi per un qualche miracolo elettorale raggiungesse quella carica, egli potrebbe forse fare un qualcosina - anche - per Venezia, ma sarebbe giocoforza sottoposto alle pressioni di parte dei fautori di quella pur miracolosa elezione.
Questa osservazione sulla dinamica intrinseca ai partiti, del resto, emerge chiara anche dalla vena d’amarezza nell’articolo di Elbaso. In tempi meno cupi quel “qualcosina” potrebbe essere forse sufficiente a motivare il tipo d’uomini e donne che siamo. Ma sappiamo che oggi il “qualcosina” sarebbe di fatto eguale a nulla, richiedendo la semplice sopravvivenza fisica della città interventi di ordine epocale, maggiori addirittura di quelli splendidi vissuti nel tardo Rinascimento e di quelli mesti occorsi tra Otto e Novecento.
A differenza di note personalità cittadine, la nostra disciplina informatica ci vieta di operare in base a processi che utilizzino “null” come variabile attiva, consapevoli che l’introduzione di questo “valore” in un algoritmo produce un errore e/o blocca l’intera procedura cui l’algoritmo stesso inferisce. A titolo informativo dirò che le due sole utilità riconosciute a quel “null” in informatica risiedono l’una nel campo della “gestione degli errori” e l’altra, particolarmente indicativa se applicata alla politica, nella necessità di nascondere l’output di una procedura.
Per concludere tutto ciò che, a nostro modo di vedere se ne possa ancor dire, menzioniamo un uso poetico, evocativo del vuoto o dell’eternità.
Il nulla non esercità dunque alcun fascino su di noi, e non siamo disposti a entrare in arena per strappare un “qualcosina=null” in favore di Venezia. Non servirebbe a Venezia e non farebbe neppure il nostro interesse.
Ci dilettiamo di altri poteri che non quello politico, che vediamo soltanto come una provvisoria necessità, e che del resto saremmo incapaci di utilizzare a fini personali, ché ne ricaveremmo solo la perdita di stima in noi stessi.
Gli uomini per salvare Venezia ci sono, e senza false ipocrisie posso dire di conoscerli e di essere uno di loro.
Ma dobbiamo essere messi in grado di “fare il gioco”, non di subirlo. Non chiediamo né accettiamo incarichi di rappresentanza: esigiamo di espletare una funzione.
Chiediamo al Popolo veneziano di appoggiarci in questo, utilizzando elezioni in cui non saremo ufficialmente presenti per sceglierci comunque. Per aiutarci a chiedere alle autorità superiori un incarico che ci garantisca in partenza come super partes e che parimenti ci assegni poteri decisionali estremamente ampi nell’ambito della Progettazione e Amministrazione Pubblica in questa città che si trova, piaccia o meno, in stato di gravissima emergenza, la più grave che essa abbia mai affrontato, essendo in pericolo non tanto la sua libertà politico-cultural-economica o la sua popolazione, quanto la sua stessa sopravvivenza come complesso di edifici.

Nessuno, tra i nemici del passato, ha mai realmente inteso la distruzione totale, lo sgretolamento in fango, dell’esistenza edificata di Venezia.
I morbi ne hanno minacciato il Popolo, altri Popoli hanno desiderato ardentemente impadronirsene, magari un pezzetto alla volta, ma nessuno, dico nessuno prima della presente follia del suo stesso Popolo, aveva mai programmato di restituire al fango quello che che da esso si era saputo generare.
Le volontà rappresentate del Popolo di Venezia agiscono oggi in una cupa nebbia ideologica, ibridazione di materialismo marxista e capitalismo gretto, e conducono con chiara evidenza a esito letale per il centro abitato e quindi per ciascuno di noi inteso come cittadino dell’antica Repubblica Marinara di Venezia.

Sono perfettamente avveduto che le affermazioni, i progetti e le richieste avanzate in questo e in altri scritti prodotti dal Comitato di Salute Pubblica espongono il fianco a essere superficialmente valutati come folli e derisi con sufficienza. La consapevolezza della tragicità della situazione non può che rendermi insensibile a simili eventuali manifestazioni di imbecillità.

Sono altresì consapevole del grave rischio di insuccesso implicito nella procedura elettorale straordinaria che ho più sopra delineato, ma allo stato attuale dei fatti ribadisco di non vedere soluzioni alternative che non siano quella di richiedere un intervento in armi da parte di Autorità mondiali, per difendere quello che ancora sarà rimasto della memoria lapidea di Venezia dal demente autocannibalismo dei suoi abitanti.

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