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CHE LINGUA FA (1)
di ENZO PEDROCCO - inviato il 03/03/2006
UNA CONVERGENZA PRESSOCHE’ TOTALE VERSO L’ITALIANO
SENZA DIMENTICARE IL PROPRIO DIALETTO

Fino a cinquant'anni fa, anno più anno meno, ricordo che gli italiani erano soliti parlare soprattutto il dialetto, cioè la lingua della città e della regione dove erano nati e vivevano. Mentre l’italiano, cioè la lingua comune a tutti noi, era ancora una lingua soprattutto scritta e parlata soltanto da pochissimi – intellettuali, borghesi, “figli di papà” etc. - anche perché la stragrande maggioranza degli Italiani, quand’anche lo avesse voluto, non sarebbe stata in grado di farlo, se non a prezzo di rischiare il ridicolo: lasciandosi magari sfuggire, come ebbi modo di udire piuttosto frequentemente, un “facci pure” al posto di un “faccia pure”, ovvero un “vadi via!” al posto di un “vada via!”. A comprova di ciò, basti ricordare una famosa battuta di Ennio Flaiano che circolava proprio in quegli anni, “l’ italiano è una lingua parlata dai doppiatori”, sulla cui eloquenza ritengo che non possano esservi dubbi di sorta.(1)

Da allora a oggi – come usa dire – molta acqua è passata sotto i ponti. E la situazione, fortunatamente, non è più la stessa grazie a una serie di cose accadute nel frattempo, le quali, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a migliorarla considerevolmente.
Secondo una recente ricerca volta a conoscere quale tipo di lingua parlano oggi gli italiani, questi ultimi, nella loro stragrande maggioranza, sono infatti passati da una prevalente diglossia, cioè dall’uso della lingua per lo scritto e del dialetto per l’orale – di anni addietro - a un prevalente bilinguismo, cioè a un uso, dettato dalle circostanze, sia del dialetto che dell’italiano, con una preferenza assai diffusa per quest’ultimo. E, se la possibilità e capacità d’uso sempre maggiori di una stessa lingua sono senz’altro auspicabili per una società, qual è la nostra, la quale propugni eguali opportunità di partecipazione per tutti, non c’è, ovviamente, che da rallegrarsi di tutto ciò.(2)

Quali siano state principalmente le cose che hanno determinato il successo dell’italiano come mai prima d’ora – come scrive Giulio Lepschy, infatti, “…l’italiano nei secoli non ha mai goduto di altrettanta buona salute” - è ormai noto a tutti: l’istruzione obbligatoria, lo sviluppo economico e soprattutto – checchè se ne possa pensare - la televisione. Accanto a esse, tuttavia, non fosse che per la presa di coscienza e lo sprone che rappresentò per molti giovani e meno giovani dei ceti meno abbienti, e l’influenza che esercitò sulla politica e la cultura del nostro Paese, va doverosamente citata, a mio modesto modo di vedere, anche la celebre Lettera a una professoressa (1967) di don Milani, in cui il priore di Barbiana sosteneva che la lingua era uno strumento di dominio dei ricchi sui poveri e che i poveri, per contro, avrebbero fatto bene ad appropriarsene per diventare coscienti dei loro diritti. Riecheggiando, in un certo qual modo, ciò che Gramsci aveva sostenuto nei suoi Quaderni del carcere - pubblicati postumi nel 1950 –laddove, fra le altre cose, insisteva sul carattere elitario della lingua italiana, elaborata dalla classe dominante, e sulla necessità di far accedere a questa lingua anche gli strati inferiori della società per riscattarli da una condizione di subalternità.

(continua)


Note:
(1)(...) Cinquanta anni fa, secondo una stima che volutamente massimizzava gli indicatori della pratica dell’italofonia, si ipotizzò che l’italofonia attiva e abituale fosse propria del 18% della popolazione, che un altro 18% potesse alternare all’uso d’uno dei dialetti l’uso dell’italiano, e che per il restante 64% gli idiomi disponibili fossero soltanto i dialetti italoromanzi e le allora misconosciute lingue di minoranza, tra le quali le due di maggior rilievo demografico (le parlate sarde e friulane) nella comune opinione venivano annoverate tra i dialetti italoromanzi (De Mauro)

(2)(...) Le popolazioni italiane, nella lunga loro storia... Lungo tre millenni, mai avevano sperimentato un pari grado di convergenza effettiva abituale (il 44%) e di convergenza potenziale e spesso effettiva (il 95%). verso uno stesso idioma (De Mauro)


”CITAZIONI CITABILI”

“Pensi un momento, di quante e quante cose possano discorrere insieme, coi medesimi termini, l’uomo più dotto e qualunque uomo del volgo. Questa comunanza poi può crescere, e è desiderabile che cresca, con l’accrescersi delle cognizioni nelle classi che ne sono più scarse”.

MANZONI, Appendice alla relazione intorno all’unità della lingua.


“Una lingua non si forma né stabilisce mai, se non applicandola alla letteratura. Questo è chiaro dall’esempio di tutte. Nessuna lingua non applicata alla letteratura è stata mai formata né stabilita e molto meno perfetta”.

LEOPARDI,Zibaldone


“Il destino di molti uomini dipese dall’esserci o non esserci stata una biblioteca nella loro casa paterna”.

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