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Sensualità e ascesi - Riflessioni di ricerca interiore | |
di Umberto Sartory - inviato il 08/04/2001 | |
Sensualità e ascesi, comportamenti in apparenza assai distanti e con iconologie e fisiognomiche differenti, inferiscono invece la medesima sostanza. Dico questo non solo in relazione al loro appartenere comunque alla gamma delle umane esperienze, bensì per il loro ontologico e specifico intercompenetrarsi. Vediamo quanto di ascetico può legittimamente ascriversi alla sensualità. Sul piano “meccanico” quasi tutte le dinamiche sensuali hanno carattere ascendente/ascetico che, se autoosservato diligentemente, rivela come la percezione non si verifica nell’organo periferico “tastatore”, sia esso il timpano, il polpastrello, l’occhio, la papilla o il naso. Noi collochiamo la sensazione di ruvido sul polpastrello solo dopo che l’informazione è stata elaborata a livello mentale, sia pure subconscio, ma la sua consapevolezza si è realizzata su un piano la cui natura non è dimostrabilmente materiale. Vi è quindi un’inerente ascesi verso lo spirito in ogni percezione sensoria. Se prendiamo in esame percezioni più complesse legate a recettori molto sofisticati come l’apparato erogeno, i legami fra materia e metafisica sono ancora più eclatanti, coinvolgendo fenomeni di luce e visualizzazione interiore (per esempio nell’orgasmo e nelle fantasie erotiche), nonché interazioni con lo stato d’animo (il cosiddetto “umore”) e la sfera affettivo-emozionale. Quando poi alla percezione si associa una qualche preparazione alla stessa, nel percepiente oppure nel percepito come nel caso della fruizione dell’opera d’arte, vediamo che la la sensazione tralascia quasi completamente la consapevolezza del recettore materico, mentre il suo messaggio va ad agire direttamente sulle sfere più elevate del pensiero umano: sulla consapevolezza del bello, sul pensiero filosofico e religioso, sulla capacità progettuale; o anche su sfere forse meno nobili ma altrettanto immateriali quali l’aggressività, la soddisfazione libidica, l’ideologia, l’intensificazione di senso vitale. In assenza però di un “osservatore interno” non coinvolto, in assenza cioè di vera attenzione, l’essere umano registra nella sfera cosciente solo il messaggio di ritorno, e identifica un buon cibo con il buon sapore che sente in bocca, o lascia sconvolgere la propria vita intelligente da un feromone che, captato dal naso, sarà riconosciuto come un inturgidimento del sesso o una grande passione. Guardiamo adesso all’ascesi, per ravvisare lo stretto rapporto che lega questa disciplina ai sensi materiali. Se nella sensualità il pericolo per l’intelligenza risiede nella distrazione o nella superficialità della coscienza, nell’ascesi esso appare con l’eccesso di elaborazione mentale e di distacco dai recettori. Non si dà infatti un percorso di ascesi senza l’intervento dello spirito inteso come volontà. Lo spirito, divenuto cosciente di se stesso, per sua natura aspira al dominio dei recettori e del grandemente complesso sistema di interazioni fra questi semplici terminali meccanici e le sfere più sottili dell’essere umano. La complessità del sistema da “controllare” e la sua grande riserva energetica che in alcuni casi, i.e. nella sfera sessuale, attinge direttamente all’elan vital dell’intero fenomeno biodinamico del cosmo, fà sì che molti praticanti d’ascesi optino per una sorta di amputazione mentale del senso o dei sensi verso i quali si sentono più deboli. In passato esistevano e forse esistono tuttora, nelle numerose sacche di sottosviluppo del pianeta, anche pratiche di mutilazione fisica. In una visione umanistica e umanitaria del mondo questi comportamenti non solo non possono qualificarsi come ascesi, ma appaiono chiaramente come insani o quantomeno insalubri. Questa valutazione sussiste anche al solo vaglio della logica: che valore può infatti recare il dominio di un qualcosa che è morto? Cicikov era forse un vero possidente? In verità il procedere ascetico non può che realizzarsi attraverso una stretta osservazione del comportamento dei recettori e delle reazioni ai loro stimoli. Nella capacità di mantenere o instaurare equilibri in queste forti dinamiche si ottiene la vera forgiatura dello spirito inteso come volontà. |
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