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Orchi e Prosivendole - Impressioni su Pennac | |
di Umberto Sartory - inviato il 24/04/2001 | |
Una cosa scritta di getto, quasi per sfuggire alla malia che mi ha afferrato per 18 ore filate, strappandomi alle checkbox e ai radiobutton, deviando la mia attenzione dal monitor alla pagina stampata. Una revanche della vecchia alienazione sulla nuova, Gutenberg che fà lo sgambetto a Gates. Due libri, in fondo. Due libri che un amico ti presta in una sera in cui senti che devi cambiare qualcosa della tua vita, ché le abitudini si fanno scandite come il battito di una pendola, un orologio a cucù la cui pigne sono ormai a fine corsa. Due libri e un autore, che forse sono invece molti, un’intera famiglia. Daniel Pennac e la famiglia Malausséne, famiglia in cui il legame di sangue vale quanto e forse meno di quello di scelta. Un brio narrativo in cui sono i personaggi a scrivere, un “processo rettilineo” che mi ha costretto come un treno al binario, che mi ha fatto ammalare di lettura. Una ricaduta grave, totalizzante come poche altre. Così francese, Pennac, che non basta nemmeno la famiglia ad autorizzare l’opera. Sembra il prodotto di un’assemblea transtemporale e transtilistica: dalle sue pagine evaporano il Grand Guignol e Ubu, il '68 e la Grandeur bonapartista, la Fratellanza e il settarismo; il surrealismo magico si applica all’esistenzialismo per uno sberleffo da ghigliottina rivolto a entrambi, senza dimenticare una sbirciata alla Legion d'Onore e all'Accademia. Il tutto in uno stile ironico scoccante da Sanantonio maturo e decantato. Vien da pensare a un libro scritto in intelligenza artificiale, un’operazione alla Umberto Eco, il grande frullatore, la mousse tuttifrutti, la rapsodia letteraria. Sono tanti gli autori che fanno l’occhiolino, senza trascurare i russi. Suppongo che per la Francia la letteratura russa, almeno quella prerivoluzionaria, sia considerata a stregua di colonia, visto che l’intellighenzia zarista parlava ed educava in francese... Lo stile è la chiave della magia avvincente, condito dai colpi di scena che vengono da lontano cari a Simenon (mi piacerebbe scrivere “Ouimaisnon”) e dai tratti di pennello che disegnano sinopie d’ambiente leggere ma efficaci, quello che resta forse di Hugo e degli Zolà nel setaccio di Pennac. E anche una ricetta astuta, guarnita in stile gastronomico da romanzo a puntate per non saziare l’appetito di massa: la suspance sposata alla riflessione profonda, l’occhio attento al mercato multietnico e a quello multiculturale, tutti salvati e tutti condannati allo stesso tempo, un pizzico di sesso con indulgenze alle perversioni e all’ incesto con nonchalanche sensuale ancora tutta francese... C’è un gran mestiere nella spontaneità espressiva evidentemente raggiunta al termine di una spietata esegesi linguistica; esco tuttavia da questa maratona di lettura con un senso di lieve ma rancida malinconia, senza molta voglia di conoscere il resto della telenovela, di seguire gli hyperlink sapientemente disseminati nel testo per guidare il lettore agli scaffali libreria degli hypermarket. Provo un vago senso di nausea, forse Pennac ha ecceduto con Sartre o forse sono solo le mie pigne ormai a livello del terreno... |
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