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La solitudine di Stefani - evidentemente non era ``vera beatitudo``
di Umberto Sartory - inviato il 25/06/2003
Voglio convenire e supportare la tesi dell'amico ''s.''Quella frase, assai più che a una poesia, assomiglia a un ''refrain'' da depresso.Indubbio che il testo sia di Mario, perché me lo confermò lui stesso, mentre si rammaricava violentemente che qualcuno, a sua insaputa, fosse andato a scriverlo su muri e ponteggi.Penso però che lo abbia scritto più nello spirito di un ''esercizio di stile'' che nel tentativo di liberarsi da un'angoscia, in omaggio a una sorta di esistenzialismo cinico che non gli era affatto alieno.Una versificazione facile, su un argomento superficialmente affrontato e scontatamente patetico. Ricetta che troppo spesso riscuote successo, e al successo ci teneva, Mario.Ne aveva avuto, più della maggior parte dei poeti veneziani; non solo come poeta, ma anche come insegnante. Ho personalmente assistito a suoi incontri con ex-alunni, e l'entusiasmo e l'affetto riconoscente di questi ultimi era palese.Quel testo è giocato sulla confusione fra sensualità e amore. E' la solitudine sensuale, la frustrazione dell'età cui non corrisponde adeguata maturità, a parlare. La sensualità anche morbosa di Mario non è un mistero per nessuno che lo abbia conosciuto, il suo entusiasmo di autoinnocenza per se stesso come ''re nudo'' direi anzi che costituiva larga parte del suo fascino e della sua simpatia. Libido e sensi, con una certa qual raffinatezza nell'esprimerli, sono assi portanti di molti suoi componimenti.Non posso credere che Mario si sia deliberatamente tolta la vita, soprattutto in un modo così lungo e penoso. Lo ho conosciuto come persona estremamente timorosa della morte e della sofferenza fisica, ma capace di vivere e godere senza pensarci troppo. Lo ho visto entusiasta in occasione dei suoi successi mondani, e non gliene mancavano certo: tesi di laurea su di lui, pubblicazioni, citazioni, inviti, gadget...No, lo vedo piuttosto vittima di un ''incidente sensuale'', solitario o in compagnia che fosse, vittima della ricerca di un piacere sempre più intenso o estremo.La sensualità di Stefani non si arroccava però come monomania erotica. Lo abbiamo visto godere con entusiasmo del buon vino e della buona tavola, e anche della compagnia di amici con cui aveva saputo coltivare rispetto e affettuosità, lo dico perché ero uno di questi.Non penso che fosse un uomo di fede, non nel senso in cui lo intendiamo, credo, l'amico ''s.'' e io.Ciononostante subiva e godeva del fascino della bellezza classicamente intesa, e non avrebbe mai voluto regalarci come ricordo l'orribile grottesco della sua sofferenza che ci è stato descritto. Se proprio, per imperscrutabili ragioni avesse deciso di lasciare questo mondo, sono convinto che lo avrebbe fatto con uno stile ben diverso.Dico questo in rispetto al mestiere di poeta che, pur se della carne e dell'anima e quindi lontano dalle mie scelte artistiche, non posso che riconoscergli.

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