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La Triste Storia dell'Elefante   English text

Correva l'anno 17... quando un carrozzone di girovaghi portò a Venezia un vero elefante da esibire a pagamento come meraviglia della natura.
L'entusiasmo suscitato nella popolazione dal grande animale fece accorrere spettatori in gran numero sulla riva degli Schiavoni, dove si era installato il baraccone.
Durante la notte però il pachiderma, forse infastidito dalle troppo rumorose attenzioni, forse eccitato dall'aria salsoiodica, decise di riguadagnare la libertà. Strappate le catene che lo avvinghiavano e sfondata la parete della baracca, si concesse un "tour de Venise a la nuit" seminando il panico al suo passaggio.
Dopo aver scorazzato piuttosto a lungo, inseguito da archibugieri e alabardieri della Repubblica che ottennero solo di irritarlo ulteriormente, sfondò con un colpo di deretano la porta della chiesa di Sant'Antonino (o forse Sant'Iseppo) a Castello e penetrò nell'edificio. Sfortunato come il ben noto cane in chiesa, una lastra tombale cedette sotto il suo peso intrappolandogli una zampa. Fu così nuovamente impastoiato in più robuste catene e ricondotto al suo serraglio.
Immediata scattò la reazione dei magistrati veneziani, che con procedimento urgentissimo decretarono la condanna a morte per il bestione, ribelle e sacrilego.
La sentenza fu eseguita pubblicamente in piazza San Marco, per mezzo di un colpo di cannone sparato in fronte, davanti a folta ressa di spettatori che non dovettero neppure pagare il biglietto.
A questo episodio, si ispirò il poeta satirico Pietro Buratti per la sua "Elefanteide" (collocazione marciana: LEO A 0616), un poemetto di oltre 800 versi composti in ottave di endecasillabi (per sottolinearne il carattere epico). Buratti colloca l'episodio nel 1815, e se ne serve per dileggiare alcuni funzionari pubblici e l'artificiosità dei costumi del tempo, ponendo l'elefante a emblema di una vis naturalis spontanea ingiustamente perseguitata.

Umberto Sartory

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The Blue Story of the Elephant   Testo italiano

Umberto Sartory