Storia di Venezia, Orazione di Perasto


 

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Storia di Venezia, Storia di Dalmazia

Per approfondire la Storia della Caduta di Venezia

I Gonfalonieri di Perasto e la Famosa Orazione

L'Orazione del Gonfaloniere di Perasto all'atto di ammainare e occultare l'ultimo Gonfalone della Libera Repubblica di Venezia, invasa e saccheggiata dalle monarchie europee per mano di Napoleone Bonaparte, 1797.
A Cristiani e Veneziani ricordo che non esiste tomba da cui non si possa o non si debba risorgere.
Umberto Sartori

Appunti da:
"DALLA PARTE DEL LEONE"
di Luigi Tomaz
Ed. ANVGD Venezia.

A cura di Carlo De Paoli

Nel profondo delle Bocche di Cattaro, c'è il paese di Perasto, all'epoca piccola ma terribile Comunità molto antica, che per la fedeltà e per il valore in guerra era stata nominata dal Senato Veneto Gonfaloniera dell'Armata.
Per la stessa sua indomita impavidità, nel Medio Evo Perasto era stata la Gonfaloniera del Re di Serbia, col quale aveva mantenuto un patto di alleanza e di reciproca convenienza.

Per 377 anni (mica un giono) i Perastini furano i custodi effettivi della bandiera della nave ammiraglia veneziana.
Pochi sanno che a Venezia - salvo occasioni molto rare - il vessillo di guerra non arrivava mai: esso rimaneva custodito a Perasto, nelle Bocche di Cattaro più interne.

Perasto

Il Consiglio degli Anziani di Perasto eleggeva 12 Gonfalonieri, i quali giuravano di morire piuttosto che permettere alla bandiera il disonore di cadere in mano al nemico.

I Gonfalonieri di Perasto

I "Gonfalonieri di Perasto" costituivano un Corpo indipendente della Milizia Veneta da Mar, sotto il diretto comando del Capitano Generale da Mar. Nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, morirono 8 Gonfalonieri su 12.

Il Capitano di Perasto era la massima Autorità Amministrativa e Militare locale; al tempo della caduta della Serenissima Repubblica, ricopriva questa Carica Giuseppe Viscovich, fratello dell'ardito comandante della "Bella Annetta" che il 20 aprile 1797 aveva annientato l'incrociatore napoleonico "Liberateur d'Italie" alle bocche del porto di Venezia.

Ippolito Nievo ha scritto: "In una sera di maggio moriva una gran regina di quattordici secoli, senza lacrime, senza dignità, senza funerali".
NON E' VERO.

La Gran Regina di quattordici secoli si è arresa qualche mese dopo, e ha avuto funerali dignitosissimi, accompagnati dal pianto sconsolato del suo antico Stato da Mar lungo tutta la Riviera Adriatica".
Fu Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto e Gonfaloniere, a pronunciare la famosa Orazione, col Gonfalone tra le mani bagnato dal pianto di tutto il Popolo in singhiozzi. Era il 23 agosto, tre mesi e mezzo dopo l'abdicazione dell'antico Governo veneziano.

La Fedeltà a Venezia: Allocuzione di Perasto

Tratto da: "Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria" presso la Scuola Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone, Venezia, a cura del prof. Luigi Tomaz.

Il Gonfalone di Venezia a Perasto

Caduta la Serenissima Repubblica in seguito all'avanzata napoleonica del 1797, l'Austria occupa militarmente la Dalmazia. I Perastini sono costretti, ultimi fra tutti i Paesi della Repubblica, ad ammainare loro malgrado lo stendardo di San Marco, che con una mesta cerimonia, descrittaci dal contemporaneo mons. Vincenzo Ballovich, viene deposto nella Cattedrale del paese.

"I Perastini non che le genti del suo Territorio, ed altre ancora, si ragunarono dinanzi all'abitazione del Capitano ove le Venete Insegne si custodivano.
Ivi giunto il Luogotenente con dodici uomini, rappresentanti la guardia del Regio Gonfalone, armati di sciabola, seguiti da due Alfieri e preceduti da un Giudice, si recò nella Sala, dove stava la Bandiera di Campagna, e il vessillo del Gonfalone, che da più secoli la Veneta Repubblica per speciale e distinto privilegio aveva affidato al valore ed alla Fedeltà dei Perastini.

Dovevano essi levare quelle amate insegne; ma nel punto di eseguire un atto, che squarciava i loro cuori, perdettero le forze, e tante solamente ne conservarono, quante bastavano a versare un diluvio di pianto.
Il Popolo che affollato stava aspettando, e che non vedeva più nessuno uscire dalla Sala, non sapeva che pensarsi.
Mandossi un secondo Giudice del paese per ritrarne il motivo; ma questo rimase sì altamente commosso che con la sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri.
Finalmente il Capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fà uno sforzo doloroso: distacca le insegne, le fa inalberare su due picche: le passa in mano ai due Alfieri, che scortati dai dodici Gonfalonieri e dal Luogotenente escono in ordinanza dalla Sala, e su' lor passi vengono ed il Capitano e li Giudici e tutti gli altri.

Appena fu visto comparire l'adorato Vessillo che diventò comune il lutto e universale il pianto. Uomini, Donne, Fanciulli tutti mandano singhiozzi, tutti spandono lacrime. Altro più non s'ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell'ereditario attaccamento di quella generosa Nazione verso la sua Repubblica.

Giunta la mesta comitiva in Piazza, il Capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla Fortezza, che tira ventun colpi di Cannone.
Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari, e così fanno tutti i vascelli mercantili che ivi si trovano. Fu questo l'ultimo atto che la fama posta a lutto diede al valor nazionale.

Le ossequiate insegne furono poste sopra un bacino; il Luogotenente le ricevette in presenza dei Giudici, del Capitano e del Popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e malinconico alla volta della Chiesa principale.
Colà giunti, vennero accolti dal Clero e dal suo Capo, al quale si fece la consegna del venerato deposito, e lì lo pose sull'Altar Maggiore.

Allora il Conte Giuseppe Viscovich Capitano di Perasto proferì il seguente discorso, che fu tratto tratto interrotto da vivi singulti e da rivi di lacrime sorgenti ancor più dal cuore che dagli occhi:

In sto amaro momento, che lacera el nostro cor; in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, el Gonfalon de la Serenissima Repubblica ne sia de conforto, o Cittadini, che la nostra condotta passada che quela de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa, che Perasto ha degnamente sostenudo fino all'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co' sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini, sfoghemose pur; ma in sti nostri ultimi sentimenti coi quai sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto Governo, rivolzemose verso sta Insegna che lo rappresenta e su ela sfoghemo el nostro dolor.
Per trecentosettantasette anni la nostra fede, el nostro valor l'ha sempre custodìa per tera e par mar, per tutto dove né ha ciamà i so nemici, che xe stai pur queli de la Religion.
Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e felicissimi sempre se semo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stai illustri e vittoriosi. Nissun con Ti n'ha visto scampar nissun con Ti n'ha visto vinti o spaurosi! Se i tempi presenti, infeicissimi per imprevidensa, per dissension, per arbitrii illegai, per vizi offendenti la natura e el gius de le zenti, no Te avesse tolto dall'Italia, per Ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la nostra vita, e piutosto che vederTe vinto e desonorà dai Toi, el coraggio nostro, la nostra fede se avarave sepelio soto de Ti!
Ma za che altro no resta da far per Ti, el nostro cor sia l'onoratissima To tomba e el più puro e el più grande elogio, Tò elogio, le nostre lagreme".

(In questo amaro momento che lacera il nostro cuore; in questo ultimo sfogo d'amore e di fede al Veneto Serenissimo Dominio, ci sia di conforto, o Cittadini, il Gonfalone della Serenissima Repubblica, ché la nostra condotta presente e passata giustamente ci assegna questo atto fatale, per noi virtuoso e doveroso.
Sapranno da noi i nostri figli, e la Storia del giorno farà sapere a tutta Europa, che Perasto ha degnamente sostenuto fino all'ultimo l'onore del Veneto Gonfalone, onorandolo con questo atto solenne e deponendolo bagnato del nostro universale amarissimo pianto.
Sfoghiamoci, Cittadini, sfoghiamoci pure; ma in questi nostri ultimi sentimenti, con i quali sigilliamo la gloriosa carriera corsa sotto il Serenissimo Veneto Governo, rivolgiamoci a questa insegna e in essa consacriamo il nostro dolore.
Per trecentosettantasette anni la nostra fede e il nostro valore la hanno custodita per Terra e per Mare, ovunque ci abbiano chiamato i suoi nemici, che sono stati anche quelli della Religione.
Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, il nostro sangue, le nostre vite sone sempre state dedicate a Te, San Marco; e felicissimi sempre ci siamo reputati di essere Tu con noi e noi con Te; e sempre con Te siamo stati illustri e vittoriosi sul Mare.
Nessuno con Te ci ha visto fuggire; nessuno, con Te, ci ha visto vinti o impauriti!
Se il tempo presente, infelicissimo per imprevidenza, per dissennatezza, per illegali arbitrii, per vizi che offendono la Natura e il Diritto delle Genti, non Ti avesse tolto dall'Italia, per Te in perpetuo sarebbero state le nostre sostanze, il sangue, la nostra vita; piuttosto che vederTi vinto e disonorato dai Tuoi, il nostro coraggio e la nostra fede si sarebbero sepolte sotto di Te!
Ora che altro non resta da fare per Te, il nostro cuore Ti sia tomba onoratissima e il più puro e grande elogio, Tuo elogio, siano le nostre lacrime.)


Il Bacio di Perasto al Gonfalone Veneto

Il Bacio di Perasto al Gonfalone di San Marco in un quadro di Giuseppe Lallich


Dopo la Messa e le parole sopra riportate, mons. Ballovich conclude con grande chiarezza storica:
"Terminato questo discorso, Monsignor Abate ne pronunziò un altro sullo stesso soggetto e con sentimento di uguale commozione; indi il Capitano si levò, ed afferrato un lembo dello Stendardo vi pose su le labbra senza poternele divellere, e ciascuno a gara concorse a baciarlo tenerissimamente, lavandolo di calde lacrime.

Ma dovendosi una volta por fine alla cerimonia dolente, si chiusero quelle care insegne in una cassa che l'Abate collocò in un ripostiglio sotto l'Altar Maggiore.
Poiché fu compiuto questo atto di verace attaccamento, non che gli altri uffizi dettati dal cuore, il popolo taciturno uscì di Chiesa portando in volto l'impronta della tristezza, e dell'ambascia, contrassegni li più infallibili della procella dell'anima.
PERASTO 1797
23 AGOSTO"

 

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