a San Provolo. La rascia, o rassa, è un panno di lana ordinaria col quale si
coprono le gondole, così chiamato dal regno di Rascia (oggidì Servia) donde provenne. Che qui se
ne facesse spaccio fino agli ultimi anni della Repubblica, lo prova un manifesto stampato sullo scorcio del
secolo decorso, con cui Giovanni Barich, capo maestro dei tintori della Serenissima Dominante, avvisava che chi
volesse vedere i campioni delle «rasse» servienti ad uso dei «felzi» da barca, ed uscite dalla sua
tintoria, si recasse in «Calle delle Rasse» all'insegna di San Girolamo, ed all'insegna di Sant'Antonio
di Padova. Il Sabellico («De Situ Urbis») chiama fino dai suoi tempi questa via «Rascianum vicum».
Sulla «Riva dei Schiavoni», e precisamente di faccia la «Calle delle Rasse»,
venne trucidato nel 1172 il doge Vitale Michieli II mentre recavasi, secondo il costume, il giorno di Pasqua
alla chiesa di S. Zaccaria. L'assassino, che fu certo Marco Cassolo, espiò sulle forche il proprio
delitto, ed avendosi egli nascosto, prima di commetterlo, in alcune case poste in capo alla «Calle delle
Rasse», ove, secondo alcuni scrittori, abitava, «fo ruinà» (dice la cronaca Magno)
«quelle caxe, et costituido mai non le se possi far de piera, et cussì sono, et fassi de legno, et
che lo doxe se farà, no vadi più per quella via, ma per S. Filippo e Jacomo, et fo fatto
far quelli do ponti de piera, et cussì se oserva». I due Ponti accennati sono quello di
«Canonica», e quello di «S. Provolo».
Scrive ne' suoi «Annali» il Malipiero: «El mese de Mazo» (1498) «se ha
descoverto la peste in alguni luoghi della terra, e i proveditori della Sanità ha prohibido la
Sensa, ma i Schiavoni no l'ha saputo, e son venuti con le sue rasse, e i Lombardi con le sue tele. E
intesa tal prohibitione, i son andati a la signoria, e alegando i so gravami, ha suplicà de poder
vender per la terra, e son sta esaudidi, ma ghe è devedà de vender in calle delle rasse
per non far assunanza, e se ha reduto verso Santa Maria Formosa, sulla salizà de S. Lio».
Dalla «Calle delle Rasse» verso il palazzo ducale, come pure nell'osterie, che un
tempo esistevano nella «Piazza», non potevano, per legge del Consiglio dei X, abitare meretrici:
«Meretrices non habitent a calle rassiae citra versus Palat. neque in hospitiis Plateae»: Vedi
Decreta Concili Decemvirum (Codice 84, Classe V dei Latini, presso la Biblioteca Marciana).
In «Calle delle Rasse», in una casa di Francesco Orio, fioriva la stamperia ducale del
Rampazzetto, che, per avere falsificato un mandato di Collegio col nome del cassiere, e secretario del
Collegio medesimo, fu il 4 agosto 1616 condannato ad un'ora di berlina, e poscia a tre anni di galera
continui, come remigante, coi ferri ai piedi. In caso d'inabilità, la pena della galera doveva essere
permutata in quattro anni di reclusione nella «Prigion Forte». Egli venne esposto in berlina il
dì 9 agosto dell'anno citato.
Sante Gariboldi, speziale all'insegna di S. Domenico in «Calle delle Rasse», venne
decapitato ed abbruciato il 30 luglio 1641 per avere abusato di due fanciulli di anni sei. Alcuni Registri
dei Giustiziati dicono che l'esecuzione ebbe luogo in «Calle delle Rasse», dove «il reo aveva
fatto il delitto», ma gli autentici registri criminali insegnano invece che il delitto venne
commesso nel convento di S. Giobbe, e che il Gariboldi patì il supplizio fra le colonne della
«Piazzetta».
In Capo alla «Calle delle Rasse», con prospetto sopra la «Riva degli
Schiavoni», scorgesi un magnifico palazzo archiacuto, fondato nel secolo XIV dai Dandolo, e celebre,
secondo il Sanudo, per le molte feste che vi si celebrarono, e pei molti nobili personaggi che v'ebbero
ospizio. La proprietà di questo palazzo andò a poco a poco divisa. Imperciocché
porzione di esso venne assegnata in dote alle donzelle dei Dandolo, che s'accasarono in altre famiglie, e
porzione ne fu comperata nel 1536 dai Gritti. Subentrarono quindi i Mocenigo ed i Bernardo, i primi dei
quali, per festeggiare le nozze, avvenute nel 1629, fra Giustiniana Mocenigo e Lorenzo Giustinian, fecero
eseguire in musica nell'appartamento ad essi spettante la «Proserpina Rapita» di Giulio Strozzi, uno
dei primi drammi musicali eseguiti in Venezia. Nello stesso palazzo si aperse nel 1822 un nobile albergo da
Giuseppe dal Niel, detto Danieli, il quale, con istrumento 25 febbraio 1824, in atti Agostino Angeri,
comperò il secondo piano da Elena Michiel, vedova di Alvise Bernardo, mentre più tardi
Alfonsina Clement, figlia adottiva del Danieli, unitamente al marito Vespasiano Muzzarelli, comperò
il primo piano, con istrumento 24 settembre 1840, in atti Paolo Cominciolli, da Filippo e Mario Nani eredi
Mocenigo. L'albergo fiorisce tuttora.