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3 agosto 2000 – Kathmandu

 

Mi hanno svegliata i raggi del sole, impertinenti e caldi. Dritti sul viso.

Allo stupa che vedo dalla finestra già alle otto risuonavano campanelle e canti rituali, come fosse un giorno speciale, un giorno di festa.

La giornata si annunciava perfetta per un giro in moto.

Evadendo le commissioni mattutine insieme ad Alessio, un ragazzino in bicicletta del tutto privo di freni (come qui capita sovente) ci piomba addosso in un clamoroso frontale  che non riusciamo a evitare. Non riusciamo nemmeno ad adirarci. Tanto, in questo clima di collettiva convulsione infernale, ci sembra tutto così inutile.

Ci si ridimensiona. Si accetta quel che accade e basta. Si cerca di stare attenti ma se qualcosa non funziona come si vorrebbe, pazienza. Ogni evento ha per certo la sua ragione recondita. E` davvero tutta una questione di karma.

Si rompe solo la mascherina in plastica con la scritta Yamaha. Mentre constatiamo i danni che dovremo ripagare all`uomo che ci ha affittato le moto, in ragazzo se ne va in sorriso. Nessuno si era fatto male. Questa, in effetti, era davvero l`unica cosa che contava.

Decidiamo di tornare a Bhaktapur.

Il nostro primo tentativo d`accesso è stato fallimentare visto che ce ne siamo subito andati infastiditi dalla petulanza eccessiva dei battitori e dall`atmosfera decisamente “turistica”.

Eppure la “città dei devoti” chiama.

Oggi l`aria che si respirava era molto più serena. Dicono che a Bhaktapur si abbia l`impressione di cadere nel medioevo per il modo in cui vi si svolge la vita. Ma non è così. O meglio, lo sarebbe se non si fosse adattata ai pellegrinaggi di turisti, che chiedono di toccare, di afferrare i ricordi tenendoli stretti in mano o appoggiati sui mobili di casa.

L`insicurezza del materialismo occidentale è appagata, con la prontezza tipica dei nepalesi come degli indiani, da file di negozi di souvenirs.

Il sapore che andavo cercando spunta solo in qualche angolo appartato e nei vicoletti che sanno di “calle” veneziana. Il resto è una splendida città monumetale, con templi e palazzi di legno traforato, incredibilmente perfetti, disposti come pedine preziose su una metafisica scacchiera. Scalinate con grandi statue in pietra ai lati, raffiguranti leoni, elefanti e divinità, accompagnano il piede umano fino alle vette dell`edificio sacro. Per guardare la terra sotto di noi; per  percepire più vicino il cielo, Dio.

Vedo passare un uomo nel sole. Alle estremità di una lunga canna di bambù che regge sulle spalle, due enormi gabbie strapiene di piccoli uccellini varipinti da una parte e di pappagalli verde brillante dall`altra. La scena curiosa mi immalinconisce. Sono creature meravigliose; sembrano uscite da una favola bambina. Se chiudessi gli occhi e mi concentrassi un poco so che potrei udire i loro pensieri, i loro lamenti. Chissà in quale magico bosco dei dintorni sono stati catturati, chissà con quale meschino inganno umano. Vorrei che nessun essere al mondo fosse privato di una cosa così sacra: della sua libertà. Ma forse qui mi è dato di capire che non posso volere alcunchè con riguardo a ciò che mi sta intorno e che ogni accadimento ha il suo senso proprio così com`è.

In Potter`s square abilissimi vasai producono ogni giorno decine di pezzi. L`intera area della piazza è ricoperta da vasi d`argilla di tutte le dimensioni, posti in ordine ad asciugare al sole. Ai margini di questa superficie ricoperta fittamente di forme sferiche, le donne siedono a terra davanti teli cosparsi di grano, che viene trasformato in farina battendo pazientemente nel mortaio.

La pulizia e l`ordine in questa città sono davvero inconsueti. Non circolano auto nè altri mezzi a motore; per fortuna qui si può girare solo a piedi.

E` evidente l`intervento del governo tedesco che ha stanziato finanziamenti per trasformare la Bhaktapur nella quale sarei voluta entrare in quella che invece oggi ci è capitata in sorte.

Eppure non riesco a rassegnarmi.

Cerco, faticando, la grazia, l`armonia, la pace antiche che forse riaffiorano più intense a sera, quando le botteghe da baraccone chiudono i battenti e gli abitanti possono tornare a essere se stessi, rilassandosi dal ruolo loro imposto dagli eventi di statuine del presepio da fotografare, da imprimere in immagini che fissano l`attimo e che verranno esibite in chissà quante parti del mondo. Ma sono convinta che qui l`attimo sia assolutamente ineffabile, inafferrabile. Talmente denso da non poterlo esprimere. Non resta che viverlo, con l`anima più leggera e profonda che si può.

Ci allontaniamo dopo un paio d`ore.

Percepiamo tutti e tre un`urgenza interiore, uno stimolo intenso a raggiungere al più presto il paese poco distante dove alcuni giorni prima abbiamo conosciuto quegli uomini che ci hanno offerto il chilum. Ricordiamo che si deve arrivare a Bonipar e poi, proseguendo, si tratta di riscovare una strada sterrata che conduce a quella casa in pietra sui colli. Di strade sterrate ce ne sono circa quattro o cinque, che perlustriamo all`altezza del loro imbocco dal paese. Qualcosa ci fa scegliere, quasi a caso, quella esatta.

Arriviamo piuttosto rapidamente alla casa, che riconosciamo subito. C`è anche la pianta di canapa. Il posto è proprio quello giusto.

Fuori c`è solo una donna, che ci invita gentilmente a salire mentre aspettiamo l`arrivo degli uomini della famiglia. Le consegnamo i dolci portati come piccolo regalo ma preferiamo aspettare fuori, a vedere cosa capita su quella stradina tra colline e monti.

Si avvicina immediatamente un tipo sulla quarantina, di bella presenza, che parla un fluente inglese con ottima pronuncia e ci intrattiene nell`attesa, seduti su una panca bere un chia nella casa da the distante pochi passi. La conversazione con questo nuovo personaggio mi attrae senza ritegno. E` un giovane uomo distinto, affascinante, dai modi nobili ma disinvolti, è affabile in maniera sincera. Insomma, mi piace. Mi conquista in pochi secondi. Oso chiedergli il suo nome. Si chiama Ashok. Mi balena subito nel cervello che “ashok” significa “principe”. E io non riesco a evitare di pensare che lui, in questo posto magico, sia proprio così.

Dopo un po` che si  discorre piacevolmente sopraggiunge a piedi l`anziano che aspettavamo. E` vestito di kaki e sul capo porta un topi ricamato di foglie e petali di fiori. Il suo fisico è asciutto e il suo viso segnato dagli anni, forse meno di quanti io ne immagini. Ha uno sguardo sapiente, modi di fare calmi, equilibrati, come di chi ha capito così tante cose che ormai riesce a non sprecare più nulla. Nella mia mente lui è il capo del piccolo villaggio, è il saggio; mi ricorda il Grande Puffo.

Ci avviamo verso la sua casa. Ashok ci racconta che l`uomo tornava dal tempio di Indreshwar Mahadev, nel villaggio di Panauti.

Voglio che neanche il nuovo incontro manchi in questa strana riunione e invito Ashok a venire con noi, anche perchè mi ha talmente immagata che mi piange il cuore distaccarmene. Ha come qualcosa … Qualcosa di tanto bello e speciale che non riesco a capire, a penetrare e in tal modo mi sfida toccandomi nell`intimo, dove assai pochi riescono a fare breccia.

Entriamo in casa. Al piano terra, riservato agli animali, saluto le due caprette che ho visto anche l`altra volta; alla sera entrano qui anche le galline. Salgo con passi incerti la ripida scaletta di legno, che mi fa sentire tanto sgraziata. Entriamo a piedi nudi nella stanza al primo piano e ci sediamo a terra, in circolo. L`arredamento è semplicissimo, come di una casa di campagna, e il pavimento in terra battuta. Pian piano, uno alla volta, si aggiungono tutti i componenti della famiglia: due donne, due uomini e una decina di bambini di diverse età. I visi di tutti sono belli, gli occhi puliti, i gesti eleganti e sinceri come di chi ha il privilegio di essere detentore di una nobiltà che viene dritta dall`animo.

Ashok fa da interprete essendo l`unico in grado di parlare inglese. La conversazione non ha incertezze o imbarazzi, si fa subito naturale. Una donna ci serve il chia, delle pannocchie arrostite sulla brace e delle mele selvatiche, piccole e dolci. Ci spiegano che sorseggiare la bevanda emettendo un sonoro rumore significa che la si gradisce e così si rende onore all`ospite.

Ashok si informa sui gradi di parentela che legano noi tre. Apprendo con sorpresa che Alessio, mio fratello, sarebbe tenuto a baciarmi i piedi tutte le mattine dopo i rispettivi lavacri e così dovrebbe fare anche con mio padre. Io, in quanto figlia femmina, non sarei tenuta verso alcuno; anzi, sarebbe mio padre nel dovere di baciare i piedi a me. Non rieso a trattenermi dal riso nell`immaginare questa scena che però, in fondo, mi piace e ne accarezzo il gusto sottile. Pensandoci bene, nella mia psicologia, si tratta proprio del tipo di rispetto che gradirei avere anche senza giungere all`estremo di farmi baciare i piedi. Non oso confessarlo agli altri e un po` mi vergogno anche con me stessa, benchè qui sia invece un`usanza atavica e naturale.

Ashok continua a incuriosirmi. Non capisco cosa c`entri, con quei suoi modi da principe tra la gente, in questo piccolo villaggio di poche vecchie e umili case, isolato tra le risaie e i colli. Emerge che è laureato in psicologia presso l`università di Kathmandu e che ivi ha studiato, tra l`altro, chiromanzia e telepatia. E` chiaro che le scuole di pensiero in materia sono ben diverse che in Europa. Del resto, in un paese così, dove ogni minimo gesto della vita quotidiana è intriso di esoterismo, non potrebbe essere differente.Questa presumibile capacità di Ashok di vedere davvero oltre, che d`acchito mi ha entusiasmata e incantata, poco dopo mi imbarazza un po` perchè inizio a temere che possa cogliere bene ciò che penso di lui … Ma anche se fosse, che importa; capita. E poichè lui comunque non fa una piega, mi rassereno. Del resto le stesse ragazze nepalesi sono generose di sorrisi e ammiccamenti; lo vedo da come si comportano con Alessio.

Mentre conversiamo di tante cose, il chilum continua a passare senza sosta, come un compagno del gruppo. Lo prepara con l`erba dell`orto il nostro anziano ospite. Lui e Ashok mi insegnano un paio di tecniche di presa per la pipa e finalmente riesco a tirare bene anche da sola, senza bisogno di farmi aiutare.

Uno dei figli del capofamiglia – ci riferiscono senza imbarazzi – è matto. La malattia è psicologica e gli e' piombata addosso dopo il matrimonio. Pare non si riesca a curarlo.Talvolta incendia case. Ha una moglie affabile e due bei figli. La sua è una presenza inquietante ma sorride e vuole farsi fotografare.

Quanto all`altro figlio, ogni volta che gli arriva il chilum in mano, si intrattiene per qualche minuto in lunghe litanie ad alta voce con le quali ringrazia Pashupati, Shankar, Hanumann e altri ancora e offre a tutti loro il rito che va a compiere. Poi riaccende la brace, che nel frattempo si è spenta; tira con un amore e un`energia tutti speciali; passa.

E passa anche il tempo, senza che ce ne accorgiamo.Si fa quasi buio e ci preoccupa tornare a Kathmandu in moto nella notte visto che il traffico selvaggio e le insidie rendono pericolose le strade anche di giorno. Ci invitano a dormire lì, nella loro casa, nei loro letti. Sarebbe splendido ma Umberto deve ritornare in città per telefonare a James, col quale ha improvvisato un business di duemila t-shirt ricamate per Ombra.net.

Alessio vuole un chilum come quello del vecchio Khadananda Banjara: piccolo, semplice, di terra naturale. Insomma, sincero ed elegante come l`erba che per qualche ora ci abbiamo fumato dentro. L`anziano si offre di accompagnarci a Panauti, nella bottega giusta. Sale in moto con Umberto e, senza profferire parola, lo guida in scioltezza.

Entriamo nel villaggio di Panauti al tramonto. Le case in mattoni e le viuzze lastricate sono ordinati e puliti in maniera inusuale. C`è poca gente in giro. La luce è discreta e dorata. L`uomo ci guida nella sua aura potente. Parla poco perchè tanto non ci comprendiamo ma si è instaurato un contatto mentale che non ci fa rimpiangere l`inutilizzabilità dello strumento parola. Ormai inutile.

Ci conduce al tempio del villaggio; quello dove s`era recato per pregare mentre noi lo attendevamo nella sua casa. Il tempio è magico: di legno intagliato, su cinque livelli a pagoda, con un grande spazio aperto intorno. Posato come un gioiello in una piccola valle tra colline verdi d`erba e di bosco. In una luce gialla e calda che lo rende metafisico. Oltre a noi non c`è nessuno. Non oso parlare. Non oso interrompere la musica del silenzio, densa come miele. Mi sento davvero una creatura in grazia di Dio.

Il tempio è stato eretto verso il 1200, intorno a un lingam di Shiva custodito nella celletta che occupa il cuore dell`edificio. Punto lo sguardo nella penombra, lo vedo, resto attonita. Non c`è nulla da dire.

Khadananda risale sulla moto e ci conduce a un altro tempietto. Qui troviamo anche un baba seduto sotto una veranda in compagnia di altri uomini del paese. In questo esatto punto confluiscono due fiumi e, si dice, ve ne sia un terzo “invisibile”. Probabilmente è sotterraneo e passa proprio qui sotto. Mi balza alla mente l`immagine di questi tre fiumi che si fanno uno in un punto preciso; visualizzo il tridente di Shiva. I templi di questo paese, infatti, sono tutti dedicati a lui.

Compriamo il chilum a prezzo finalmente nepalese anzichè inflazionato ad usum occidentali. E` bellissimo nella sua sintesi, nella sua semplicità che rivela sapienze antiche. Costa due rupie.

Offriamo all`uomo anziano di riaccompagnarlo in moto verso casa. La strada è piuttosto lunga ed è quasi buio completo. Lui preferisce andarsene a piedi, sentire la terra e tutti i suoi spiriti intorno. Non ha fretta, non teme nulla, non sente stanchezza.

Penso che sia un uomo meraviglioso e che non abbia sprecato gli anni di vita che gli dei hanno voluto concedergli. Penso che, un giorno, vorrei essere capace di diventare come è lui.

Torniamo verso  Kathmandu, nel buio. Ma questa volta, come per incanto, imbocchiamo subito la strada giusta, che ci porta in breve a Durbar Square e quindi in albergo. Sarà anche un caso. Ma io dico solo questo: non credo affatto che qualcosa avvenga per caso. Qui, dove tutti pregano in ogni dove, in particolar modo. E voglio pensare che sia un altro dono degli spiriti benevoli con cui siano stati oggi.