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Strategia di Lavoro per la Repubblica: attualità operativa del modello veneziano (segue)
di Umberto Sartori - inviato il 14/06/2011 (letto 3811 volte - 0 commenti)

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Strategia di Lavoro per la Repubblica: attualità operativa del modello veneziano (segue)

Ancora sulle possibili attualità operative del Modello Veneziano di Repubblica, con particolare riguardo al Sistema Giudiziario.

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Vediamo dunque in forma succinta come si compone il Governo Repubblicano di un “Semplice” territoriale.

Il vertice della Piramide Gerarchica Repubblicana coincide con la sua base. Ricordo la natura metafisica della Repubblica, e che in Metafisica gli Assiomi non soggiacciono alle leggi fisiche.
Uno dei documenti fondanti di questa Sapienza, la “Tabula Smaragdina” di Tradizione Egizia, recita appunto: “Quello che stà sopra è come quello che stà sotto, per il mistero di una Cosa Una”.

Organo decisionale politico per le questioni generali non strettamente pertinenti il Dominio (= Buon Governo) del Territorio è quindi in Repubblica l’Arengo del Popolo, che viene consultato e si esprime per via telematica dopo essere stato informato dei termini del problema a opera di apposite Magistrature designate dal Senato.

Il Senato, costituito in prima Istanza da Cittadini espressi per via meritocratica e proporzionale da ogni Struttura Corporativa, si viene a popolare, con il succedersi degli Incarichi Repubblicani, di tutti quei Cittadini che siano stati chiamati a Funzioni Pubbliche dirigenziali e di controllo presentemente e in passato.

Un corpo di Funzionari professionisti diversamente specializzati rende operative le decisioni e i provvedimenti territoriali emanati dal Senato su proposte e progetti forniti dalle Magistrature di Amministrazione.

Le Magistrature di Amministrazione sono il sistema nervoso dell’Organizzazione Repubblicana.

Esse sono costituite su ogni insorgenza specifica nel Territorio, stabile od eventuale, con durata ed efficacia strettamente connesse all’insorgenza stessa. Sono incaricate nell’ordine:
-della funzione percettiva dell’insorgenza
-dell’elaborazione di possibili soluzioni applicative da esporre al Senato
-della dirigenza nella trasmissione operativa sul Territorio delle decisioni di quest’ultimo.

Le Magistrature Operative possono essere molto numerose nelle Comunità più complesse, o accorpare più incarichi nelle Comunità più semplici o meno popolate.

Alle Magistrature possono essere chiamati dal Senato tutti i Cittadini valutati adatti per competenza specifica e affidabilità morale.

Non è nello scope di questo scritto enumerare tutte le Magistrature di Amministrazione necessarie. Questa operazione dettagliata diviene possibile solo a fronte di un effettivo orientamento popolare verso la Repubblica, con la designazione del “Semplice” Territoriale in cui avviare il test strutturale.

Compito di questo scritto è invece esporre una Struttura Statale congruente alla Repubblica, in cui le suddette Magistrature possano trovare luogo, coordinamento e controllo.

Su un livello più astratto delle Magistrature Operative, con analoghi criteri di selezione e rotazione dei Cittadini incaricati, la Repubblica deve produrre Magistrature di Controllo democratico trasversale, le quali riferiscano al Senato non come legate a specifici aspetti territoriali ma da osservatrici nell’operato di ogni Magistratura, incluse le affini.

Ancora l’insegnamento Veneziano è di grande aiuto nell’indicare le principali soglie di sorveglianza.

È necessario sorvegliare che, per malintendimenti di qualsivoglia natura, le Magistrature Operative non incorrano nella trasgressione delle Leggi della Repubblica e dei limiti del proprio incarico. A tal fine viene istituita una Magistratura di Controllo della Repubblica che i Veneziani chiamarono “Avogaria da Comun”, i cui Membri sono ammessi di diritto e talvolta prescritti nelle Assembleee decisionali di ogni Magistratura Amministrativa o di Controllo.

È necessario d’altro canto sorvegliare che interessi privati non vengano a prevalere sul Bene Comune, inteso nel suo senso più esteso di proprietà fisiche, culturali, spirituali e morali, nel corso di procedure Amministrative o di Controllo.
A tal fine si costituisce una seconda Magistratura di Controllo, che i Veneziani chiamarono “Consiglio dei Dieci”.

Per le proprie funzioni di coordinamento, il Senato produce una Magistratura simile a quella chiamata Minor Consiglio dai Veneziani, i cui Membri partecipano di diritto a qualsiasi Magistratura Amministrativa e di dovere a quelle di Controllo, secondo modalità valutate come le più opportune.

Ogni Magistratura Amministrativa può produrre Istanza di istituzione di Magistrature di Coordinamento con altre Magistrature contigue nella soluzione di problemi complessi.

Penso sia opportuno, pur in questa fase teorica, scendere nello specifico di una Magistratura Amministrativa stabile, quella demandata all’Amministrazione della Giustizia.
È necessario infatti in primo luogo che il Cittadino possa usufruire di un Sistema di Giustizia efficiente ed equo, vicino alle necessità quotidiane ma al contempo capace di affrontare e risolvere anche questioni complesse ed extraterritoriali.

A tal fine si differenziano le Magistrature Giudiziarie in identità territoriali semplici (Tribunali di Zona), e complesse (Tribunali Giurisprudenziali) dove si affrontino questioni i cui fattori coinvolgono realtà territoriali e legislative a più ampio spettro.

Nei Tribunali di Zona possono essere chiamati alle varie funzioni decisionali necessarie, su proposta delle Istituzioni Corporative locali, Cittadini valutati degni e capaci dall’Arengo informatico pertinente la Zona, anche se non professionalmente formati nella Giurisprudenza Classica.

Ove l’Incarico vada a incontrare questioni che, pur locali, sono investite di problematiche legali complesse, o tali da esulare la competenza del Buon Senso Comune, i Magistrati di Zona possono chiedere il supporto di Magistrati di Corte Giurisprudenziale, i quali vengono invece scelti annualmente dal Senato tra i professionisti della Giurisprudenza.
In ogni Magistratura possono essere proposti tre gradi di giudizio corrispondenti a tre successive rotazioni di Carica in quella Magistratura.

Nell’ambito giudiziario è indispensabile identificare dei deterrenti, quelli che ancora oggi, non del tutto propriamente, vengono chiamati “pene per i trasgressori”.

La Repubblica per la sua informazione Cristiana tendenzialmente rifiuta la brutalità nelle pene, ma al tempo della Repubblica di Venezia le condizioni generali di vita dell’Umanità erano tali da rendere praticamente impossibile immaginare i massimi deterrenti in altri termini che la crudeltà, espressa con la detenzione e la punizione corporale in tutti i gradi fino alla morte.

Troviamo quindi simili provvedimenti anche nella sua Storia, ma abbiamo visto che Venezia fece un uso delle massime pene assai più moderato di ogni altro Stato, e tese ad alleviarle e a renderle morali più che fisiche nel corso della sua evoluzione come Stato.

È molto importante approfondire moralmente la questione dei delitti e delle pene, perché in essa la Repubblica stessa deve mostrare la propria umiltà nella Gerarchia Civile di fronte all’Autorità suprema del Creatore.   La Repubblica vede infatti ogni uomo, soprattutto quando indegno della qualità di Cittadino Repubblicano, non come sottoposto rispetto alla scelta morale Repubblicana, ma come evento sottoposto alla sola Potestà del Creatore.   La Repubblica in questo attua il dettame Cristiano del “non giudicare”.
Di fronte alla persona gravemente deviante e nociva, la Repubblica si pone non in atteggiamento punitivo ma difensivo.

Nel procedimento tecnico giudiziario Essa - valuta - il danno arrecato o arrecabile alla propria struttura fisica e morale; ne sancisce quindi il deterrente e la sua applicazione come misura di Legittima Difesa, senza interpolare alcuna considerazione legata a un giudizio ex cathedra sulla persona specifica.

Al nome e al concetto di “colpevole”, la Repubblica sostituisce quello di “responsabile”.   Al nome e concetto di “punizione” subentra quello di “Legittima Difesa” della Società Civile.

La Giurisprudenza Repubblicana, abbiamo visto in Venezia e possiamo ancora oggi vedere in quelle a questa ispirate attraverso il Diritto Anglosassone, tende a considerare il crimine come una malattia sociale, che va prevenuta e guarita, ricorrendo alle amputazioni solo in caso di ineluttabile necessità.

La maggior parte dei crimini è legata ai vizi, e questi a loro volta sono legati a particolari sensi o parti del corpo, viene quindi facile un paragone illustrativo anatomico alla maniera di Agrippa.
Chi trovandosi un forte dolore alla gola la reciderebbe o anche solo la “isolerebbe” dal corpo per avere eliminata la percezione dolorosa?   Chi, ferendosi magari lievemente a un dito, lo taglierebbe per liberarsi dall’incomodo sanguinamento?   L’uomo assennato si prende cura della propria gola con farmaci e benda il taglio sul dito per portarlo a guarigione. Così parimenti la Repubblica deve prendersi cura delle proprie malattie sociali, cercando con i deterrenti di provvedersi anche un sistema di recupero degli organi malati.

Nel campo delle “pene” o deterrenti, il progresso generale dell’Umanità rende oggi possibile un adeguamento in direzione Cristiana e Repubblicana estremamente significativo.

Se per quanto riguarda la criminalità comune non aggravata da fatti di violenza possiamo con chiarezza vedere usati da larga parte del Mondo Civile provvedimenti di inserimento in programmi di lavoro socialmente utile, non è facile trovare analogo esempio moderno per le misure da applicare ai reati più gravi, e in particolare a quelli contro la Repubblica.

Il trend attuale della delinquenza antirepubblicana interna allo Stato, come abbiamo visto, è assai attivo nel depenalizzare questi crimini e nel mascherarli con quelli, meno gravi, tipici delle faide trasversali ai partiti, come la diffamazione, la falsificazione di notizie, la rissa per futili motivi.
Dietro questi conclamati malvezzi di una “classe dirigente” emerge sempre più preoccupante il danno totale che essa arreca al Bene Comune dei Cittadini in termini fisici, morali e di onore Nazionale anche solo con il dare simile spettacolo di sé.

Devo quindi corredare questo modello di un esempio di pena che vedo non solo compatibile con lo Spirito Repubblicano, ma di cui posso anche mostrare la straordinaria efficacia deterrente, pari o maggiore a quella esercitata dalla Pena di Morte.   Vediamo dunque come, a mio modo di vedere, l’Insegnamento Veneziano nel campo delle pene può essere aggiornato alle possibilità odierne.

Supponiamo che, su istanza di una o più delle Magistrature di Controllo e di Coordinamento, venga dimostrato in Senato che un Cittadino, o un gruppo di Cittadini, tenta di usare della Magistratura di cui è investito per scopi illeciti.   Provata esaurientemente la sostanza del reato, la misura difensiva della Repubblica dovrebbe attuarsi nel seguente modo.

Il Cittadino trovato responsabile di abusi all’Ufficio deve venire privato dei suoi beni mobili e immobili giacenti nel Territorio della Repubblica, che tornano a quel Patrimonio Comune Repubblicano da cui inequivocabilmente provengono.
Intendo con questo non soltanto quanto dal Cittadino in questione ricavato nelle attività illecite antirepubblicane, ma anche ogni sostanza da lui accumulata sul Territorio della Repubblica in precedenti lecite attività.

Il Diritto della Repubblica si esercita su questi beni pregressi in base al principio che solo l’interazione con le strutture del Bene Comune permette il costituirsi e il prosperare di lecite attività.

Dai beni confiscati si possono determinare redditi di supporto per eventuali stretti familiari minori d’età o in condizione di non provvedere a se stessi, che non risultino direttamente complici nel reato antirepubblicano.

A questo stadio dell’iter giudiziario, al responsabile viene presentata la scelta tra affrontare una Procedura Riabilitativa nella Repubblica o l’esilio dai Suoi Territori, ove l’esule trovi Territorio non Repubblicano che lo accetti.
In questo caso il Cittadino viene accompagnato alla frontiera da lui scelta e consegnato al Paese accettante. Qualora il responsabile non trovi l’esilio desiderato, e rimanga tuttavia renitente alla Procedura di Riabilitazione Repubblicana che tra breve illustrerò, egli viene forzatamente avviato ai programmi di recupero mediante lavoro obbligatorio e sorvegliato, previsto per i reati comuni più gravi.

Ove renitente anche a questa soluzione, il responsabile di reato antirepubblicano subisce misure detentive gravi pari al periodo massimo di riabilitazione previsto (14 anni), dalle quali può recedere giungendo a più miti consigli nei confronti delle Procedure Riabilitative.   Al termine della detenzione, la persona ricomincia dal Semestre di Umiltà che vedremo, il quale viene però interrotto con la detenzione alla prima infrazione delle Leggi.

Anche al detenuto in questo grado rimane accessibile il Procedimento Riabilitativo, previa valutazione della sua personalità da parte di una Commissione riunita di Magistrati di Zona e Magistrati Giurisprudenziali. I detenuti recidivi possono chiedere esame Repubblicano della propria personalità e trasferimento alle Procedure Riabilitative non più che una volta in ogni triennio di detenzione.

Ogni Procedura Riabilitativa di recidivi inizia con il Semestre di Umiltà.

Procedura Riabilitativa per i Cittadini responsabili di reati contro la Repubblica nello svolgimento di Pubblico Incarico.

Per un periodo che valuterei semestrale e annuale, il Cittadino in questione, visti confiscati i suoi beni materiali, deve trovarsi affidato alla Pubblica Carità ed elemosina, e deve essergli inibito partecipare o collaborare a qualsivoglia attività remunerata.

Attività di volontariato nei servizi pesanti dal punto di vista fisico o morale possono dar luogo in contraccambio all’elargizione di cibo e miglior ricovero notturno da parte della Repubblica o ammettere nell’ospitalità di eventuali familiari consenzienti.

In caso di comportamento dubbio, il Periodo di Umiltà può essere esteso a un altro semestre, trascorso il quale senza miglioramenti significativi nella socialità Repubblicana della persona, il soggetto viene avviato al Lavoro Sorvegliato Obbligatorio.

Trascorso il Semestre di Umiltà, il Cittadino responsabile che abbia mantenuto condotta assecondante il provvedimento viene riammesso nel grado più basso della propria precedente professione, al quale resta vincolato per il periodo di tre anni.

Giova forse portare alcuni esempi pratici.

Un medico o un infermiere che, incaricato di Pubblica Magistratura, sia trovato responsabile di operazioni contro la Repubblica, svolgerà il Tirocinio Triennale previsto dalla Procedura di Riabilitazione Repubblicana svolgendo mansioni di inserviente ospedaliero o ambulatoriale.

Un avvocato o studente di Legge, nello stesso frangente, sarà adibito a lavori di fattorino o di bassa cancelleria pubblica o privata.

Un architetto o un muratore eserciterà attività di manovalanza edile o di studio, secondo le possibilità fisiche del Cittadino.

Un analista informatico, passerà il tirocinio riabilitativo triennale come operatore all’input di dati.

Un ingegnere, nel gradino di manovalanza più basso relativo alla costruzione di opere d’ingegneria della sua specialità.

Non a caso ho citato come esempi queste Professioni : esse sono, quando degnamente esercitate, tra quelle più adatte a fornire il ricambio dei Magistrati Repubblicani per le principali insorgenze del Territorio e della Popolazione.

Immediatamente dopo, in questa classifica, vengono le Professioni contadine, quelle artigianali e quelle commerciali, nelle quali automaticamente il procedimento per il Semestre di Umiltà impone il ripresentarsi come braccianti, apprendisti e subagenti.

A molte Magistrature non è tuttavia necessario altro titolo che l’onore ovvero la stima meritata dalla Corporazione e dal Popolo.

Nulla vieta che a tali Magistrature, come per esempio quelle Tribunali di Zona, siano chiamati individui che già si trovano nel gradino più basso di una qualche corporazione o mestiere: appare dunque necessario stabilire uno stato di Tirocinio Riabilitativo anche per coloro che esercitano professioni che non presentino possibilità di declassamento.
L’applicazione di un doppio semestre di Umiltà mi appare una risposta plausibile, ma in verità ritengo che tale necessità sarebbe assai rara.

Stante il valore meritocratico espresso attraverso le Corporazioni nella designazione delle Cariche, è assai improbabile che Queste vengano assegnate a elementi non ancora provati nelle Corporazioni stesse.   Quando il sistema Corporativo ritenga degno di stima per la Carica un Membro dei suoi gradi più umili viene spontaneo pensare che egli debba brillare per le sue doti morali, e sia quindi poco soggetto a lusinghe maligne.

Certo si può dare il caso del giovane di particolare talento che abbagli sé stesso e le Corporazioni.
Trattandosi di un giovane, un anno di Umiltà può produrre effetto straordinario sia come deterrente che come plasmatore di una giovane mente.
All’uopo ricordo ciò che è consapevolezza comune di ogni anziano, ovvero che i giovani hanno una percezione dilatata del tempo, e che in quelle età tale periodo può essere lunghissimo nella percezione e nella storia formativa dell’individuo.

Può pure darsi il caso, che ritengo ancora più raro, dell’improvviso cedimento morale anche in un individuo di provata virtù.   In questa occasione non vedo cosa altro la Repubblica dovrebbe fare se non riportarlo all’Umiltà e quindi alla sua posizione di partenza, nella sua o in altra Corporazione, interdetto per il periodo e le modalità di Legge dall’adire ulteriormente a Cariche pubbliche.

In entrambe queste devianze, giovanile e “senile”, caso per caso può essere valutata l’opportunità di applicare il principio della Piramide Repubblicana, facendo svolgere al trasgressore, sotto consiglio e sorveglianza di altri Magistrati, mansioni che siano invece gravi di responsabilità decisionale.

A simili Provvedimenti Riabilitativi o di esilio, o ancora di lavoro sorvegliato obbligatorio o detenzione, ritengo devano sottostare anche i Pubblici Funzionari che commettano abuso sia in nome della Repubblica che proprio.   I Funzionari stabili sono infatti esclusi dall’accesso a cariche temporanee decisionali della Repubblica, ma esercitano un compito ragionato di applicazione delle Leggi promulgate dal Senato che consente loro ampio arbitrio e assunzione di responsabilità, nel Bene e nel male della Repubblica.

Se a valutazione della Magistratura pertinente la Corporazione di appartenenza, nel triennio di prova seguente il Periodo di Umiltà il Cittadino avrà svolto i suoi incarichi con diligenza e dedizione, potrà essere riammesso nel grado professionale raggiunto prima del reato.

In caso di comportamento dubbio, il triennio di tirocinio può essere raddoppiato.

Scaduti tre o sei anni di tirocinio riabilitativo senza conferma dell’adeguamento morale alla vita civile Repubblicana, il responsabile di reato viene avviato alle procedure di lavoro obbligatorio previste per i reati comuni più gravi o invitato, ove nelle sue possibilità, a recarsi sotto scorta in Territorio non repubblicano che accetti di accoglierlo.
L’Esule che chieda la riammissione in Repubblica con la dovuta convinzione può essere riammesso al periodo di Riabilitazione Repubblicana.

Il responsabile di reati contro la Repubblica rimarrà ineleggibile a Cariche pubbliche per i sette anni seguenti il superamento del tirocinio triennale o esaennale.

Penso che la funzione riabilitativa dei provvedimenti sia stata resa con sufficiente chiarezza. Ho accennato alla possibilità di mostrare anche l’alto potere deterrente di simili provvedimenti.   Intendo farlo rammentando infami episodi della nostra storia recente. Mi riferisco a quel marasma nell’assetto di potere delle fazioni italiane pubblicizzato con il nome di “Mani Pulite”, che già ho descritto nelle “Violazioni dei partiti alla Costituzione”.

Quel fenomeno ha reso evidente, con i suoi molti casi di suicidio, la sensibilità dei coinvolti alla perdita di “rispettabilità”, che ha superato quella istintiva al timore della morte.
Essi furono ben lungi dall’essere affidati all’elemosina Repubblicana e all’esposizione pubblica in corpore vili. Furono anzi alloggiati, nutriti e persino protetti in “prigioni” che il loro “rango” poteva rendere lussuose e permeabili agli affetti parentali.
Furono lasciati nella padronanza o complicità di potenti strumenti mediatici atti a mitigare o falsamente riabilitare la loro immagine.

Eppure molti di loro si uccisero per l’improvvisa, indubitabile consapevolezza della propria debolezza e vergogna morale.

Pochissimi, veri incalliti criminali, seppero rialzarsi dalla prostrazione e riaffacciarsi nel desolante panorama delle beghe di fazione.

Ritengo quanto ho rammentato sufficiente a indicare che oggi una sanzione morale può avere più potere deterrente della morte stessa; vi integro la considerazione che allo stato attuale dei fatti, dove il più squattrinato lavoratore si trova solitamente in godimento di beni che erano impensabili anche per un rispettabile membro del Ceto Medio solo trent’anni fa, l’ipotesi del Periodo di Umiltà non può che avere un effetto profondamente intimidente, soprattutto ove associata all’efficienza di Magistrature di Controllo totalmente trasversali e con incarichi a rotazione annuale, che riducono al massimo gli interstizi in cui la complicità al crimine possa annidarsi.


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