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Democrazia: un male sociale
di Marco Girardi - inviato il 21/10/2009 (letto 3575 volte - 3 commenti)

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Democrazia: un male sociale
In un epoca in cui la democrazia sembra essere considerata una condizione indiscutibile dell'organizzazione sociale, la sua messa in discussione viene relegata sempre nelle categorie di pensiero aberranti ed estreme, anti-umane, anti-sociali, un avversione, quella verso la democrazia, buona casomai solo per promuovere qualche fascismo o comunismo d'accatto. Ma se rivolgiamo meglio la nostra attenzione a cosa il pensiero filosofico di Platone disse a proposito del pericolo insito in alcuni stilemi indiscussi della democrazia, dobbiamo riconoscere che fu profeta inascoltato e che profetizzo molte delle catastrofi che ad oggi operano indiscusse all'interno della democrazia, e che vedremo, scaturiscono proprio dal "pensiero democratico".

Riporto qui un'analisi tratta dal sito: augustomovimento.blogspot.com che spiega in maniera più esaustiva ciò che ho riportato nella premessa:


Siamo nell’Atene del IV secolo a.C., un periodo di grandi trasformazioni sociali e politiche, caratterizzato dall’individualismo e il relativismo gnoseologico dei sofisti, dalla sfrenata licenza di poter dire e di poter pensare qualsiasi cosa si voglia. E ancora dalla fine della democrazia periclea, dall’instaurarsi del regime oligarchico dei Trenta Tiranni, e di nuovo dalla restaurazione della democrazia, molto diversa dalla precedente e soprattutto colpevole dei più alti crimini, primo fra tutti quello di aver condannato a morte Socrate, l’uomo giusto per eccellenza, il prototipo del filosofo, l’incarnazione del Bene e della Giustizia.

È in questo periodo che opera Platone (427 – 347 a.C.), ed è da questi grandi cambiamenti che prende forma la sua ricerca filosofica. Ma soprattutto è dalla condanna e la conseguente morte del maestro che comincia la riflessione politica sulla situazione di Atene: se il governo di una città poteva commettere il più grave dei crimini, ossia condannare a morte Socrate, era chiaro che la civiltà e la prosperità esteriore della democrazia ateniese nascondevano al loro interno una malattia morale che solo la riflessione filosofica può guarire.

Platone si scaglia contro ogni tipo di individualismo e a favore del giusto reinserimento dell’individuo nella polis, della parte nel tutto. Nella filosofia platonica l’individuo viene presentato come un uomo composto da tre esseri: un mostro a più teste, un leone e un uomo. I tre esseri corrispondono alle tre componenti dell’anima di ciascuno e alle tre classi della polis ordinata secondo giustizia, in modo tale che ciascuno, inserito in una delle tre classi, possa esercitare quel compito a cui la natura l’ha meglio indirizzato. La componente più bassa dell’anima è quella desiderativa (epithymetikòn), che spinge alla soddisfazione dei desideri e al possesso dei beni strumentali. Se essa prevale nel singolo, costui apparterrà alla classe bronzea dei lavoratori, la cui virtù specifica è la temperanza, in quanto questa classe è l’unica a cui è concessa la proprietà privata. Questa classe non può partecipare al governo della polis, in quanto è interessata all’accrescimento dei propri beni.

La componente intermedia è quella animosa (thymoeidès), che volge all’impegno costante per il perseguimento di stabili obiettivi, al di là del piacere momentaneo. Se essa prevale, il singolo apparterrà alla classe argentea dei guerrieri custodi che provvedono alla difesa armata della città. La virtù che li caratterizza è il coraggio. Ad essi non è concesso avere né possessi privati né famiglia propria. Ciò corrisponde all’intento platonico di una separazione tra potere e ricchezza, la quale favorisce atteggiamenti competitivi ed egoistici a discapito dell’unità del “tutto armonico” della polis.
L’ultima componente dell’anima è quella razionale-intellettuale (logistikòn), che è in grado, elevandosi al di là dell’opinione e passando attraverso la Scienza, di arrivare a cogliere le “idee” e le loro relazioni. Se essa prevale nel singolo, questo apparterrà alla classe aurea dei custodi governanti (àrchontes), ovvero i filosofi. La virtù propria di questa classe è la sapienza (sophìa).

Da questa breve descrizione del pensiero politico-filosofico di Platone possiamo facilmente dedurre che esso sia caratterizzato da una sottile ed incisiva critica alla democrazia, alla sua pretesa di universalità, alla stessa antropologia su cui essa si fonda. Il suo, dunque, è un pensiero anti-egualitario, anti-individualista, ferocemente collettivista, in una parola anti-democratico. La democrazia, infatti, si richiama fondamentalmente a due princìpi: libertà e uguaglianza. Platone respinge entrambi questi princìpi, mostrandone l’intrinseca problematicità. A proposito della libertà, egli osserva che essa è destinata ad autonegarsi e a sfociare nel suo opposto, la tirannide, come lo stesso Platone afferma nella Repubblica: «Un’eccessiva libertà si trasforma in un’eccessiva schiavitù, nella vita privata come in quella pubblica. Dunque la tirannide non si insedia a partire da nessun’altra costituzione se non dalla democrazia; dall’estrema libertà deriva la schiavitù maggiore e più selvaggia» (Rp. 564 a). Inoltre l’unica vera forma di libertà, alla quale possono accedere gli individui nei quali dominano le istanze irrazionali, risiede nell’accettazione del comando di coloro in cui la ragione esercita il predominio. Meglio essere governati dalla ragione che appartiene ad un altro, piuttosto che dagli istinti irrazionali che risiedono nella propria anima.

Per quanto riguarda l’uguaglianza, egli nega che essa sia un dato acquisito sul piano morale, antropologico e intellettuale: gli uomini non sono affatto uguali. Considera poi l’uguaglianza non il punto di partenza, ma l’obiettivo di una società giusta.
La prassi democratica, la quale prevede che le decisioni siano prese a maggioranza all’interno dell’Assemblea e che molte cariche siano assegnate per sorteggio, nega il principio di competenza e la connessione, indispensabile per Platone, tra Potere e Sapere. Egli ritiene invece che la maggioranza degli individui non possegga né il grado di competenza, né il livello di consapevolezza, e neppure l’attitudine etico-morale per contribuire al governo della città. Per il filosofo la politica, almeno per quanto concerne la necessità di possedere una competenza disciplinare specifica, non differisce da una qualsiasi altra tecnica, come lo stesso Platone afferma nel Gorgia attraverso l’analogia tra la politica e la medicina: come questa, infatti, la politica comporta il possesso di un sapere oggettivo e controllabile, richiede un sapere e una competenza specialistica e per questo non può essere affidata all’arbitrio dei più, i quali posseggono solo una dotazione minimale di tale competenza. Solo un numero esiguo di individui è in grado di esercitare un pieno controllo della ragione sulle istanze razionali della propria anima. Ciò significa che gli uomini non sono affatto tutti uguali, perché la maggior parte è influenzabile dagli appetiti e dalle passioni.

È importante specificare che gli argomenti platonici contro la democrazia assumono connotati antropologici, e per questo assumono una validità universale, ossia non si riferiscono solamente alla democrazia esistente ad Atene. Platone non critica solo questo o quel meccanismo istituzionale in vigore nella città democratica, ma soprattutto l’uomo democratico, i suoi valori, i princìpi stessi sui quali si fonda la democrazia. È per questo che la critica platonica può essere estesa ad ogni forma democratica, dunque anche a quella attuale.

La presunta presenza nelle opere tarde di Platone di una revisione del giudizio sulla democrazia non sembra efficace, infine, se si considera che la collocazione mediana della democrazia nella gerarchia delle forme di governo esposta nel Politico non dipende dalla presenza, nella costituzione democratica, di elementi positivi, ma dalla semplice constatazione che la democrazia e l’uomo democratico hanno una sorta di mediocrità che li rende incapaci di realizzare in forma estrema tanto il Bene quanto il Male. Inoltre la costituzione delle Leggi, anche se considerata “mista” (di elementi monarchici e democratici), è in realtà aristocratica, in quanto si fonda sull’obbedienza alle leggi, espressione del sapere e dell’intelligenza. Elementi del tutto estranei alla democrazia.

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Inviato da: Umberto Sartori

Può essere interessante aggiungere questa fonte dall'Università di Pisa:
*************

La tirannide
La tirannide nasce da una trasformazione della democrazia (562a). La transizione della democrazia in tirannide è dovuta, come nel caso dell'oligarchia, proprio al bene dominante che è perseguito in quel regime. L'oligarchia va in rovina per l'avidità di denaro, e la democrazia a causa dell'eccessiva libertà. La libertà democratica - e qui Socrate sta criticando l'Atene a lui contemporanea - è una libertà senza princìpi e senza autocontrollo: «alla fine non si danno più pensiero né delle leggi scritte né di quelle non scritte, affinché nessuno sia loro padrone in nessun modo» (563d). 62

Nella città democratica il gioco politico si svolge fra tre gruppi (564d-565a):

1.i parassiti che cercano di arricchirsi con la politica;

2.i ricchi;

3.il demos, cioè la massa del popolo, composta da persone che lavorano per conto proprio, non si occupano di politica e non hanno grandi proprietà, ma che, quando si radunano, sono il gruppo più numeroso e potente.

Il primo gruppo ottiene l'appoggio del demos contro i ricchi, per impossessarsi delle loro sostanze; i ricchi, a loro volta, cercando di difenderle, diventano oligarchici, se già non lo erano prima. Il popolo si farà proteggere da qualche prostates, cioè da un capo che riesce a imporsi all'attenzione collettiva. Il prostates è il germoglio da cui si sviluppa il tiranno (565d). 63 Il prostates cercherà di approfittare della sua posizione per arricchirsi a scapito degli altri e per schiacciare i propri avversari. Si farà dei nemici, che cercheranno di ucciderlo: e questo sarà il pretesto col quale chiederà al popolo una guardia del corpo personale (566b). Il prostates non è più un cittadino come gli altri, perché dispone di una forza armata personale: questo è l'atto di origine della tirannide.

Una volta divenuto tiranno, il prostates cercherà di mostrare un volto affabile verso i concittadini, e susciterà guerre, per legittimarsi come capo e impoverire o sopprimere i suoi nemici interni. Eliminerà i migliori, anche fra i suoi sostenitori, per non avere rivali, e si circonderà di mediocri, che staranno con lui per viltà o per sete di guadagno. Si varrà, inoltre, dei poeti per condizionare l'opinione pubblica. Infatti, i poeti, con le loro belle voci prezzolate, sono strumenti propagandistici essenziali nella tirannidi e nelle democrazie, mentre la loro importanza decresce man mano che si progredisce nella scala delle costituzioni (568b ss). Tanto più, infatti, una costituzione è strutturata secondo una forma, tanto meno è utile la manipolazione delle emozioni operata dai poeti.

L'esito della democrazia è, per Platone, la violenza della tirannide, perché la democrazia stessa non si fonda su nessuna forma e idea comune, ma privatizza a un tempo la ragione pratica e la ragione teoretica, riconducendola interamente agli arbitrii individuali. In una simile prospettiva, la tesi platonica potrebbe essere resa più comprensibile al lettore contemporaneo in questi termini: la tirannide è l’esito di un processo di privatizzazione radicale che si innesca quando i regimi democratici non sanno o non vogliono mantenere una regola pubblica e comune.

http://bfp.sp.unipi.it/dida/resp/ar01s42.html
*******************

Questo secondo brano mi appare assai più limpido di quello inserito da Marco, proveniente da un ambiente che evidentemente aspira alla tirannide come soluzione al problema democrazia.

Tuttavia entrambi i testi sono accomunati da due gravi errori concettuali e quindi di comunicazione, legati a due lemmi fondamentali per il tema in questione, ovvero la Politica.
Le due parole sono "Individuo" e "Libertà".

Individuo, infatti non significa affatto egoista, al contrario, la parola definisce chi è parte integrante di un insieme sociale pur rimanendo chiaramente distinguibile in esso.
Ne la democrazia ne la tirannide promuovono o si basano sull'individuo, ne sono anzi la negazione e mirano al suo annichilimento.

Il termine che propriamente definisce la situazione dell'Uomo in tirannide e democrazia, è "persona", non "individuo".
Chi fosse interessato a comprendere meglio il concetto che voglio esprimere, può trovarlo meglio sviluppato in questo scritto specifico:
http://venicexplorer.net/artit/certa/individuo.htm

Quella che i due Autori citati continuano a denominare "libertà", o addirittura "eccesso di libertà", ha un altro nome proprio, ovvero "licenza".

La Libertà infatti, è una condizione dello Spirito nella Morale, come lo è la Verita.
In quanto Ideali, entrambe le parole competono alla Metafisica, e l'odierna informatica può aiutare la logica a chiarirne razionalmente alcune leggi. L'Ideale è un insieme omogeneo e, per "girare", richiede congruenza, che è dire in primis che non deve negare se stesso.
Quando dunque uno si comporta abbandonando la disciplina sociale, non può al contempo affermare di farlo in nome della Libertà, in quanto inevitabilmente così facendo viene a ledere il diritto altrui, negando quindi, in questi altri, quella stessa Libertà che vorrebbe riconoscere a se stesso.
Per chiarire questo concetto la lingua ci offre appunto le due diverse parole: "Libertà" e "licenza".
Confondere le due semantiche è indice di malafede o di grave ingenuità e porta a una visione necessariamente torbida e incongruente degli eventi del mondo.

La Libertà è un bene collettivo e solo collettivo. Il padrone degli schiavi è in primo luogo loro schiavo e non vive libero dalle loro catene.
La Libertà esce dalla sua forma metafisica nel mondo reale solo quando le persone scelgano di diventare individui e rispettare la Libertà come loro Bene Comune.

Inviato il 21-11-2009 20:06
Inviato da: Umberto Sartori

Ora in Italia noi viviamo in uno stato di conclamata democrazia, e mi rendo conto di quanto sia difficile accettare quello che dico, quando ogni ragione viene privatizzata e sottoposta all'arbitrio personale.
È necessario uno sforzo della volontà individuale, per scrollarsi dall'intelletto le incrostazioni di una vita sottoposta ai condizionamenti propagandistiche dei prostates.
Il sistema di adulazione del popolo nei suoi difetti, perpetrato da questi ultimi esclusivamente a fini di personale ed effimero vantaggio, pur schiacciando ciascuno nell'immondo concetto di "massa", tuttavia illude il singolo comune cittadino.
Lo illude di essere non solo un abile censore e collega di un allenatore di calcio internazionale, ma anche un Uomo di Stato capace di considerazioni sulla Politica e sull'equilibrio delle Nazioni e degli interessi collettivi.
Quel che è peggio è che taluni di questi comuni cittadini, affatto privi delle qualità per esercitare con vantaggio comune la professione di Uomo di Stato, animati dalla consapevole volontà di sopraffazione e arbitrio, effettivamente giungono a detenere il potere decisionale di grandi gruppi di persone.
Siamo di fronte a una situazione in cui i ciechi guidano gli illusi.
I prostates sono infatti i più accecati dall'incubo democratico, poiché in esso hanno trovato la via per venerare al massimo il loro idolo di licenza personale a scapito della Libertà e del Bene Comune.
Come accennavo, l'informatica ben ci aiuta con le sue analogie a chiarificare il pur disomogeneo insieme democratico.
La via dei prostates e dei loro seguaci è largamente basata sull'avere interposto tra sé e la verità una vera e propria "virtual machine" che traduce le parole e i concetti a loro collegati in uno pseudocode alterato.
Quando la verità dei fatti dice: "malcostume" o "corruzione" o "abuso di potere", la virtual machine entra in azione e traduce con "politica".
Quando quella stessa verità dei fatti dice "licenza" la VM traduce in "libertà"...
Ho identificato alcuni altri importantissimi lemmi che vengono così distorti, nel mio libro "Storia Morale di Venezia, al Capitolo: "L’improprietà di linguaggio" che potete leggere su http://venicexplorer.net/tradizione/Storia-Morale-Venezia.pdf

Di fatto questa virtual machine con il suo pseudocode alimenta i grandi mezzi di informazione e attraverso questi si è propagata in gran parte degli "informati" da quei mezzi.
Come un virus essa si installa nelle coscienze, ammortizzando gli urti sulla sensibilità morale che, pur ottenebrata, sussiste fortissima nell'Uomo.

Inviato il 22-11-2009 12:24
Inviato da: Marco Girardi (miargi@gmail.com)

Di passaggio veloce, non avendo il tempo materiale per formulare un'articolata risposta, lascio questo link interessante ad un libro.
Il titolo è gia di per se esplicativo: "le basi morali di una società arretrata".

http://www.bol.it/libri/basi-morali-societa-arretrata/Edward-C.-Banfield/ea978881511461/;jsessionid=55830BF3778EDBE8B35411E9689644CA

Inviato il 05-12-2009 19:49
 


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